lunedì 17 ottobre 2011

Alessandro Giari:
C'E' CHI "PESA" i danni dei Black Block (CHE NON ERANO BLACK BLOCK E TANTE COSE CE LO DICONO!), C'E' CHI SI SCANDALIZZA PERCHE' VI E' STATA VIOLENZA AD UNA MANIFESTAZIONE, così come cìè sempre violentza IN TUTTI GLI STADI PER COLPA DI POCHI e NE FA MOTIVO PER OSCURARE I VERI PROBLEMI DEL PAESE CHE RIMANGONO "DEL TUTTO NON PRESI IN CONSIDERAZIONE DAL GOVERNO". Di oggi l'altro PEZZO DEL PUZZLE di RE...GIME secondo cui LE VIOLENZE SAREBEBRO STATE ORGANIZZATE IN VAL SUSA

IO "PESO" LE PAROLE DELL' ANCORA NOSTRO (PURTROPPO, PURTROPPO, PURTROPPO, PURTROPPO) CAPO DI GOVERNO che parla al telefono CON UNO TUTTORA CON MANDATO DI CATTURA SUL "GROPPONE" e CHE NULLA HA A CHE VEDERE CON LE CARICHE E ISTITUZIONI DELLO STATO, sebben PORTATO IN GIORO CON AEREI DI STATO IN VISITE UFFICIALI DEL SUDDETTO CAPO DI GABINETTO:

IO VALUTO NON MENO GRAVI QUESTE FRASI DI MILIARDI DI DANNI PERCHE' SMASCHERANO UN DISEGNO EVERSIVO CON MOLTI MORTI!!!!!

Repubblica: "Telefonate shock fra Lavitola e Berlusconi"
Il premier: "Facciamo fuori il Palazzo e diamo l'assedio a Repubblica". I nastri agli atti del processo di Pescara

La "telefonata shock" è una conversazione con il premier del 20 ottobre 2009 in cui Berlusconi si lamenta della situazione affermando anche "siamo nelle mani dei giudici di sinistra" che si appoggiano "a Repubblica e a tutti i giornali di sinistra, alla stampa estera..." Un lunghissimo sfogo che si conclude "per cui o io lascio... Che dato che non sto bene per niente ho anche pensato di fare, oppure facciamo la rivoluzione, ma la rivoluzione vera... Portiamo in piazza milioni di persone, facciamo fuori il palazzo di Giustizia di Milano, assediamo Repubblica: cose di questo genere, non c'è un'alternativa...". E Lavitola gli dice "Presidente, però se mi permette la prima opzione scordiamocela..."

QUESTA E' UN'NTERCETTAZIONE "RILEVANTE" SIA POLITICAMENTE CHE PENALMENTE!!!!

IERI HA DETTO: "I COLPEVOLI DEVONO ESSER ASSICURATI ALLA GIUSTIZIA".

CERTO!!! TUTTI!!! A COMINCIARE DAI PIU' PERICOLOSI PER L'INTEGRITA' DEMOCRATICA DI QUESTO STATO!!!

SI PERCHE' SE COSI' E' NON DOBBIAMO NE' POSSIAMO CONCEDERE SCONTI A NESSUNO!! PRINCIPALMENTE AD UN CAPO DI GOVERNO DI UN PAESE DEMOCRATICO DI CUI SI DICE ESSER IL PREMIER "PER LEGGE" MA CHE IN REALTA' NON E' STATO ELETO CON UNA LEGGE ELETTORALE CHE SCEGLIE UN "PREMIER", bensì INDICA SOLO LA COALIZIONE CON MAGGIOR PERCENTUALE DI VOTI PER POI CONCEDERE UN PREMIO DI MAGGIORANZA: CI PROVO' DE GASPERI NEL 1953 MA ALL'EPOCA CI FU LA RIVOLTA DELLE OPPOSIZIONI (che invece questa volta hanno contribuito all'approvazione del PORCELLUM) e SEGUI' IL GOVERNO PELLA recentemente rievocato da NAPOLITANO

IO DICO: "ASSICURIAMO IMMEDIATAMENTE E PER PRIMO LUI ALLA GIUSTIZIA PERCHE' NON VORREI MAI CHE SI RIPETTESSERO RIEVOCAZIO IN "REALITY LIFE" COME QUELLA DEL MANIFESTO CHE QUI SEGUE




domenica 16 ottobre 2011

sta succedendo ora............




“Diciamola tutta, se c’era un paese che doveva trasformare l’indignazione in incazzatura di massa, quello era proprio l’Italia, che vive un presente veramente penoso. La giornata di oggi, piazza San Giovanni nella fattispecie, si è trasformata in ore di resistenza di massa alle forze dell’ordine, chiamate a respingere una rabbia sacrosanta verso un presente di austerity. Magari non è com...prensibilissimo ai più, ma le ore di resistenza romana odierna hanno detto chiaro e tondo che al debito, ai sacrifici, alla casta, all’austerity a senso unico, che ribellarsi è qualcosa che può unire, e che può succedere”. Fino alla conclusione: “Doveva finire con qualche comizio in piazza San Giovanni, è finita con ore di resistenza”.

il corteo degli indignati.....

LA REAZIONE
Gli indignati uniti contro i violenti
"Niente potrà offuscare la nostra voce"


Gli scontri, le ragioni della maggioranza pacifica, le conseguenze della guerriglia di ieri. Sui social network la voce dei manifestanti
di CARMINE SAVIANO
(ansa)




Il risveglio degli Indignati. Da un lato gli scontri. Dall'altro le ragioni di una generazione. Che non vuole lasciare il campo alla violenza. Che non vuole ritornare ai margini del discorso pubblico. Che insiste affinché le proprie ragioni vengano prese in considerazione dalle classi dirigenti. E, soprattutto, non vuole che il 15 ottobre finisca nell'elenco delle occasioni perdute. Le reazioni e i commenti di associazioni e movimenti sono numerose.

"Isoliamo gli estremisti". La richiesta più diffusa è legata all'isolamento delle persone o dei gruppi che ieri hanno provocato gli scontri. Una reazione che gran parte del movimentosta sta spostando dalla piazza alla rete. Migliaia i post su Facebook e Twitter: "Le loro posizioni non ci appartengono", "Hanno rovinato la nostra giornata", "A causa loro siamo qui a parlare di violenza, mentre oggi poteva essere il primo giorno della nostra rivoluzione pacifica".



Il Nostro Tempo è Adesso. "Niente può offuscare la nostra voce che si sta alzando. Nessuna violenza, nessuno scontro può mettere in discussione le ragioni di una generazione che si vuole riprendere la sua vita, che si ribella in modo radicalmente non violento e che chiede diritti". Così i precari del Comitato 9 aprile, gli organizzatori della manifestazione "Il nostro tempo è adesso". Ancora: "Respingiamo al mittente qualsiasi tentativo di strumentalizzazione. Da qualsiasi parte esso arrivi. Noi non ci facciamo manipolare da nessuno". E sugli scontri: "l'azione di piccoli gruppi organizzati di violenti: non ci appartiene nessuna azione violenta, non ci rappresenta".

Rete degli Studenti Medi e Unione degli Universitari. Dura le denuncia delle due associazioni studentesche: l'intento dei black bloc "era noto da tempo. Siamo profondamente amareggiati per la mancata volontà di isolare politicamente tali pratiche già nella fase di preparazione e organizzazione della data". Poi l'auspicio: "la crescita di un movimento che possa realmente gettare le basi per cambiare un modello di economia e società che ci possa garantire un futuro".

Rete Universitaria Nazionale e Federazione degli Studenti. "Come recitava lo slogan del corteo: noi siamo il 99%". Tanti ragazzi e ragazze, in modo assolutamente pacifico, hanno dato vita ad un grande manifestazione purtroppo sfigurata dalla violenza cieca e pianificata dei nemici della democrazia". Poi il riconoscimento dell'esistenza di una "piazza consapevole che vuole allargare gli spazi della democrazia e non farli restringere". E l'impegno "affinché la violenza di pochi non oscuri le ragioni di tutti".

L'Arci. Quello di ieri è stato un "brutale attacco contro un corteo pacifico". Questo il giudizio di Paolo Beni, presidente dell'Arci. "Un corteo immenso, come solo le grandi convergenze unitarie di tante identità e culture riescono a produrre, è stato ieri distrutto. Doveva essere per comune decisione di tutte le forze che lo avevano organizzato, un corteo pacificamente indignato, popolare e accogliente". Poi la necessità di guardare avanti: "Le ragioni dei milioni di indignati di questo Paese troveranno il modo, sin da domani, di farsi valere come meritano".

Tilt. Questa la posizione di Tilt, la rete dei movimenti di sinistra: "Non vogliamo che tutto questo offuschi il vero messaggio della giornata di ieri, ovvero che un'alternativa a questo sistema di sviluppo, anzi di non-sviluppo, è davvero possibile. E noi vogliamo dirlo con voce forte, chiara, che non lasci alibi a chi continua a a difendere sempre e solo gli interessi dei soliti noti, che oggi hanno avuto un grande alleato nel gruppo di violenti armati che come i peggiori vigliacchi non hanno avuto neanche il coraggio di agire a viso scoperto".

Draghi Ribelli. La pagina Facebook degli animatori della protesta in Via Nazionale accoglie in queste ore molti interventi. C'è chi scrive: "400 sedicenti facinorosi hanno oscurato il sole che splendeva sul Colosseo con il fumo della loro idiozia. Loro hanno la violenza, ma noi abbiamo le idee e sono pure giuste".

Riprendere la discussione. E sono numerosi i tentativi di riprendere il percorso interrotto dagli scontri in piazza San Giovanni. Le iniziative lanciate in rete sono numerose. Tra le altre: un'assemblea pubblica da tenersi alle 16 in piazza Santa Croce in Gerusalemme, Roma. Discutere perché "abbiamo provato a darci delle spiegazioni alla luce di fatti ma le dinamiche sono così complesse. che probabilmente ci sfuggono".


In rete.
Punti di vista, opinioni, resoconti, racconti in prima persona. Migliaia di post su Twitter sono dedicati alla manifestazione degli Indignati.
Numerosi i trend topic da seguire: #15ott, #Indignati, Black Block, Piazza San Giovanni, Merulana, Cavour.







venerdì 12 agosto 2011

LA LINEA DEL PIAVE


venerdì 12 agosto 2011
di Alberto Asor Rosa

Nella storia di questo disgraziato paese (l’Italia, intendo, per chi non ami le metafore), c’è una sindrome spesso ricorrente: si chiama la linea del Piave. Funziona così.
Per anni, talvolta per decenni, gli alti comandi, i Governi, le classi dirigenti in genere, prendono decisioni inique, sbagliate, avventurose, persino ciniche e anche delinquenziali: l’incredibile mediocrità degli alti comandi medesimi, la strategia irresponsabile dell’attacco frontale, il mostruoso disavanzo di bilancio, l’incapacità del ricambio, la stralunata soggezione dell’interesse pubblico agli interessi privati o di gruppo, ne rappresentano le manifestazioni più significative ed esemplari.
Poi, ad un certo punto, dai e dai, si verifica la catastrofe: le linee cedono, il bilancio crolla, l’economia va in pezzi, le classi dirigenti, d’ogni razza e colore - ripeto: d’ogni razza e colore – annaspano nel vuoto che loro stesse hanno creato. È a quel punto che a qualcuno viene in mente la linea del Piave: gli interessi non sono più diversi, separati e magari contrapposti, diventano “unico”. La catastrofe si può affrontare solo tutti insieme, senza più differenze né di razza, né di colore, né di collocazione sociale, né di orientamento politico. E questo, a pensarci bene, è anche giusto: chi, infatti, vorrebbe vedere gli austriaci a Milano o a Venezia?
Se poi, come nel caso di oggi, la linea del Piave assume dimensioni planetarie, la solidarietà di tutti intorno a un modello unico di soluzione assume un’evidenza ancor più eloquente: o ci si salva tutti oppure non si salva nessuno.

E anche questo potrebbe essere giusto. Ma vediamo fino a che punto il discorso del Piave regge e, ammesso che regga, quali diverse impostazioni gli si possono dare.
Facciamo (almeno noi) un passo indietro e torniamo in Italia. Negli ultimi tre- quattro mesi è accaduto nel nostro paese qualcosa che in precedenza sarebbe stato inimmaginabile: e cioè un cambiamento vistoso della costituzione materiale, un aggiustamento invisibile dei meccanismi decisionali.
Tutte le più importanti scelte in materia politica ed economica sono state, non certo prese, ma indotte con forza e con, appunto, autorevolezza “dall’alto”.
E quale esempio più lampante di “Camere congelate” di quelle che, nel giro di quarantotto ore, hanno votato un bilancio dello Stato strangolatorio e, nel caso di certi partiti, addirittura apertamente non condiviso? Non sto dicendo né che sia stato un bene né che sia stato un male: mi limito per ora a constatare che è accaduto.
Ricordate il mio articolo sul manifesto del 13 aprile?(leggi l'articolo)
«Ciò cui io penso è una prova di forza che, con l’autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall’alto, instauri quello che io definirei un normale “stato di emergenza”, eccetera eccetera». L’unico auspicio di quell’appello che non sia stato per ora praticato è il ricorso all’Arma dei carabinieri e alla polizia di Stato: non ce n’è stato bisogno, e comunque la magistratura e le forze dell’ordine erano impegnate in altro (sempre però nei dintorni: Papa, Milanese, Penati, Bisignani eccetera eccetera).
Ma in generale la linea più volte adottata è andata puntualmente in quella direzione, tacciata allora dai pulpiti più diversi d’imbecillità, provocazione, golpismo, ecc. ecc. Oggi tutti i dubbi e le riserve sono svaniti nel nulla: la linea estrema di difesa delle istituzioni repubblicane e dell’economia e coesione sociale nazionali è diventata il Governo del Presidente (non quello del Consiglio, naturalmente), universalmente invocato dalle forze, partitiche e d’opinione, che si collocano all’opposizione dell’attuale maggioranza parlamentare.
Restiamo anche noi all’interno del ragionamento, ma al tempo stesso prendiamoci la libertà di porci - di porre – alcune domande decisive: a favore di chi?
Con quali mezzi? Con quale, non solo istituzionale, ma anche politica autorevolezza?
Le linee del Piave, in sé e per sé considerate, non servono a scardinare i sistemi, servono a confermarli e a renderli ancora più inattaccabili. La difesa del “bene comune” è pagata sempre da una sola parte. Sul Piave (storicamente, non metaforicamente inteso) la linea fu tenuta dalla leva dei ’99, giovani diciottenni gettati in massa nel rogo a difendere l’integrità e l’unità nazionale.
Oggi nel tritacarne dell’unità nazionale sono destinati ad essere macinati - alfieri del tutto involontari d’un patriottismo a senso unico - gli anziani e le famiglie deboli, i pensionati, gli operai, i giovani (soprattutto i giovani), i piccoli e medi borghesi, impiegati e professionisti, gli uni e gli altri ovviamente senza rendite parassitarie alle spalle. Sull’atteggiamento da tenere nei confronti di questa situazione si è già sfarinato il fronte delle opposizioni: il Terzo Polo ha subito adottato la linea della massimizzazione dei “sacrifici popolari” (davvero singolare in questo quadro – mi sia permesso di osservarlo - l’atteggiamento della formazione che recentemente ha scelto di chiamarsi “Futuro e Libertà”: non dovevano essere la forza di rinnovamento del quadro politico italiano e sono finiti alleati in tutto e per tutto subalterni dei moderati più moderati?).
Ma lo sfarinamento ha già raggiunto vertici e settori anch’essi in precedenza inimmaginabili: vedere la Camusso, leader di un’organizzazione operaia e popolare come la Cgil, collocarsi anche fisicamente, quasi a segnare il rapporto gerarchico nuovo testé costituitosi, alle spalle della Marcegaglia, leader delle organizzazioni padronali, ha avuto la portata e il valore di un manifesto, ben comprensibile ai più.
La linea del Piave, per essere minimamente condivisa prima che accettata e praticata, avrebbe bisogno di molte condizioni, di cui per ora non si vede traccia, anzi, per essere più esatti, quasi nessuno parla.
A scopo puramente provocatorio, come di consueto (poi fra qualche mese si vedrà meglio), ne elenco due, una di carattere economico-sociale, l’altra di carattere politico, la seconda, ovviamente, condizione sine qua non perché la prima diventi credibile.
La condizione economico-sociale è la conservazione integrale dello Stato sociale, e cioè, per essere più precisi, di quell’insieme di statuti, regole, leggi e abitudini, che garantiscono la libertà e il benessere ai cittadini più deboli. Quanto al pareggio di bilancio, bisognerebbe chiedersi se le cure prospettate, in dimensioni e rapidità di tempi, non siano destinate ad ammazzare il cavallo invece di rimetterlo in piedi. La distribuzione dei pesi e delle misure, e le loro conseguenze effettive, devono perciò fin d’ora essere elencate con estrema precisione: l’obiettivo, infatti, è garantire con assoluta certezza - e la cosa è tutt’altro che impossibile - che dalla crisi ci si proponga di uscire con uno stato più giusto, non con uno più infame.
La condizione politica è che dalla crisi si esca con un riassetto del sistema di potere che almeno garantisca la riapertura di una nuova fase.
Dobbiamo invece prendere atto che finora si è andati nella direzione esattamente contraria: e cioè - nella più pura tradizione delle linee del Piave nazionali (ma almeno Cadorna nel ’17 perse il posto) - la crisi ha paradossalmente rafforzato, o almeno lasciato più tranquillo, il Governo Berlusconi: è entrato a far parte anch’esso, infatti, della “soluzione unica nazionale” della crisi.
Ma questo è intollerabile, e quindi inaccettabile: significherebbe far pagare al paese, come prezzo per uscire dalla crisi, la perpetuazione delle ragioni più profonde della crisi medesima, l’inaffidabilità, il discredito, interno ed internazionale, l’assoluta mancanza del senso dell’interesse pubblico da parte dei suoi governanti.
Perché la linea del Piave sia almeno decentemente compresa e condivisa, occorre che il governo del Presidente metta in programma questa apertura di una nuova fase in netta, inequivocabile discontinuità con quella precedente: anche ricorrendo, in tempi ragionevoli, ad un nuovo responso elettorale.
Ai costituzionali - notoriamente ce ne sono molti e di molto eccellenti – va richiesta con urgenza una rilettura del primo comma dell’art. 88 della Costituzione, il quale recita (com’è universalmente noto): «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti; sciogliere le Camere o anche una sola di esse».
Le interpretazioni correnti, che depotenziano in genere la facoltà del Capo dello Stato di assumere autonomamente tale decisione, mi sembrano estremamente discutibili, e perciò andrebbero ridiscusse, in una situazione come questa in cui si potrebbe da un momento all’altro avere bisogno di disporre tranquillamente di tale estrema risorsa.
Insomma: il Governo del Presidente comporterebbe una netta e puntuale individuazione dei pesi e delle misure da adottare, una equa distribuzione dei sacrifici, una preliminare scelta di campo a favore delle classi e dei ceti più deboli e, preliminarmente e contestualmente, la ricostituzione d’un quadro politico in grado di giocare la partita nella piena dignità ed efficacia dei suoi possibili mezzi (e uomini). Altrimenti, sarà un confuso, inane e un po’ disperato tentativo di tenere in piedi il sistema a favore dei soliti “amici”. Non sarebbe una bella cosa, e non funzionerebbe.

fonte articolo 'Il Manifesto'




venerdì 22 aprile 2011

L'ALBERO DELLA MEMORIA

dal blog di Tania : http://artenelcuore.splinder.com/
di Tania Scavolini

Nel giardino della Memoria
c’è un albero che affonda
le radici nella Storia..
Dalle sue foglie stillano,
come gocce di rugiada,
perle di Saggezza di Grandi
che diedero lustro alla Nazione..
Al posto della linfa,
scorre il sangue di Eroi
che sacrificarono la vita
per riconquistare la Libertà
e consegnare il Paese all’Unità..
Lungo la sua corteccia,
come calda resina,
scivolano le lacrime di quelle donne
che persero i loro uomini,
caduti in nome della Resistenza,
per cacciare il feroce oppressore..
Il nostro unico compito
è avere cura delle sue radici,
per far sì che sempre si conosca
il nostro nobile passato…
Nulla potrà mai scalfirlo
se conserviamo nella nostra coscienza
il suo alto valore,
nulla potrà mai disperdere
di quelle foglie l’eroica essenza..
anche se qualche mano incauta
ha tentato o tenterà di nuovo
di strapparle barbaramente
dalla Storia.




giovedì 21 aprile 2011

Perdere una battaglia non vuol dire perdere una guerra


Risposta allo sfogo di un nuclearista
di Alessandro Cascone

Perdere una battaglia non vuol dire perdere una guerra. Ma la condizione fondamentale per recuperare da una sconfitta è valutare a freddo non solo gli eventi stessi ma anche e soprattutto al modo in cui si è scesi sul campo di guerra o pseudotale.
E’ notizia di queste ore il dietrofront del Governo sulla ripresa del nucleare in Italia e già si registrano le prime reazioni di rabbia di chi nel nucleare ci sperava e si scopre, almeno apparentemente, sconfitto.
Perché mentre in tutto il mondo, a seguito dell’incidente di Fukushima, pur essendo stata rimessa in discussione la scelta nuclearista, non si sono avute le reazioni collettive di paura e rifiuto, in Italia sì ?
Basta invocare l’atavica indolenza italica o, secondo alcuni, addirittura una cultura di sinistra colpevole di strumentalizzare l’incidente di Fukushima a fini politici ?
Conviene porsi allora delle domande. Come hanno affrontato i nuclearisti storici, soprattutto, e alcuni neonuclearisti, la questione Fukushima ?
Da adolescenti arroganti e spocchiosi, non raramente poco attenti ai fondamentali di psicologia collettiva. All’indomani dell’incidente invece di far decantare le acque torbide della paura, divenute improvvisamente e velocemente onde di tsunami psicologiche di proporzioni gigantesche, hanno preferito, con la camicia aperta in petto di dannunziana memoria, mettersi di traverso minimizzando quotidianamente le notizie che venivano dal Giappone per poi essere puntualmente smentiti, e sbugiardati, nelle 24 ore successive. Non è un incidente nemmeno paragonabile a Cernobyl ! Dicevano, e per mostrare che non appartenevano a loro le idiozie o le deficienze di conoscenza del tema nucleare introducevano agli ignoranti e agli idioti la scala INES sugli incidenti nucleari facendo conoscere che se Cernobyl aveva avuto 7, Fukushima era 4 per poi salire al livello 7 poche settimane dopo.
Ancora prima dell'incidente di Fukushima gli stessi nuclearisti storici, per convincere gli antinuclearisti, oramai persi nelle loro irrazionali e ignoranti paure (qualcuno anche accusato di esserlo falsamente) avevano, in più sedi e in diversi e numerosi momenti dichiarato categoricamente che il nucleare era oggi una scelta sicura poichè le centrali erano di nuovissima e ultima generazione e che quello che era successo a Cernobyl era praticamente impossibile da succedere nuovamente non avendo “niente in comune con le centrali che si costruiscono oggi”. Stesse parole usate per il dopo-Fukushima per scagionare le altre centrali operative per poi scoprire, fonti IAEA (International Atomic Energy Agency), che esiste ancora un reattore tipo-Cernobyl modificato dopo l’incidente del ’86 (stesso reattore RBMK di base con modifiche) a Kursk in Russia e che esistono (in Germania ad esempio) anche altre centrali tipo Fukushima (reattori BWR) appartenenti alla II generazione di reattori nucleari e non alla tanto blasonata e ritenuta sicura III e III+ generazione.

Edward L. Bernays, unanimamente considerato uno dei padri delle scienze delle pubbliche relazioni nel suo libro Propaganda, scritto nel 1928, sosteneva che: “La sola propaganda che perderà credito, man mano che il mondo diventerà più raffinato e intelligente, sarà quella ingannevole o fondamentalmente antisociale”.

I nuclearisti storici, massimalisti per vocazione, e i neonuclearisti, riformisti, e quindi forse culturalmente più disponibili dei primi a mettersi in discussione, vogliono vincere la guerra perchè a detta loro non è solo la loro ma quella di un’intera nazione perché è nell’interesse di questa che si dovrebbe fare la scelta di inserire anche (ma non solo) il nucleare tra le strategie energetiche ?
Bene ! Allora urge che entrambi tengano a mente una lezione fondamentale dello storico Thomas Buckle, l’autore della Storia della civilizzazione in Inghilterra: “Quando si allarga lo scarto tra le classi intellettuali e le classi lavoratrici, le prime non esercitano più nessuna influenza, le seconde non ne traggono alcun beneficio”. Solo mettendosi in sintonia con la gente, creando con umiltà e intelligenza emotiva situazioni che sappiano suscitare lo sviluppo della riflessione, si potranno convincere, eventualmente, i cittadini della giustezza delle proprie idee e con essa contribuire al loro sogno di una nazione culturalmente progredita e energeticamente indipendente.