mercoledì 10 febbraio 2010

pag. 26 ) Carlo A. Dalla Chiesa

Palermo, Venerdì 3 settembre 1982, ore 21 il nuovo prefetto di Palermo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sta andando a cena con la giovane moglie Emanuela Setti Carraro, di scorta li segue un'Alfetta guidata dall’agente Domenico Russo. Giunti in Via Isidoro Carini sopraggiungono due motociclette e un’auto che affiancandosi all’A112 del generale aprono il fuoco a colpi di kalashnikov uccidendoli sul colpo.

Sul luogo dell'eccidio, un anonimo cittadino lascia un cartello affisso al muro. Poche parole che in breve fanno il giro del mondo: "Qui è morta la speranza dei siciliani onesti".


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Pochi giorni dopo, il 5 settembre, durante i funerali il cardinale di Palermo Pappalardo rompe il silenzio della Chiesa ufficiale sul problema mafia. Ha parole durissime, citando un famoso passo di Tito Livio: "Dum Romae consulitur... Saguntum espugnatur. Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata - tuona dal pulpito - E questa volta non è Sagunto, ma Palermo! Povera Palermo nostra". E al termine della messa, volano insulti e monetine all'indirizzo dei rappresentanti dello Stato e dei politici presenti: la reazione spontanea di tanta gente stanca, che in quel prefetto aveva riposto le proprie speranze.

Andreotti che era stato Presidente del Consiglio negli anni del terrorismo dal '76 al '79, periodo di massima operatività del Generale, non andò al funerale. Quando il giornalista Gianpaolo Pansa durante un Festival dell'Amicizia gli chiese perché lui non fosse andato ai funerali del prefetto di Palermo, il leader democristiano rispose così: “Preferisco andare ai battesimi”.

Il prefetto dei cento giorni; Dalla Chiesa a Palermo
Dalla Chiesa arriva a Palermo il 30 aprile, con procedura d'urgenza e anzitempo, poche ore dopo l'uccisione del segretario siciliano del Pci, Pio La Torre, terzo uomo politico assassinato tra il ’79 e l’82 dopo Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980), democristiano, presidente della Regione siciliana, e Michele Reina (9 marzo 1979), segretario della Dc palermitana. Dalla Chiesa è l’uomo a cui lo Stato si era rivolto per sconfiggere la nuova emergenza del paese: la mafia. In Sicilia è una vera e propria strage: 10 morti nell’80, 50 nell’81, quasi 20 nei primi mesi dell’82. Dalla Chiesa resterà per tutti il "prefetto dei cento giorni".

La nomina era stata decisa il 2 aprile 1982 da un comitato interministeriale costituito dal presidente del Consiglio Spadolini e dai ministri Rognoni, Formica, Di Giesi e Altissimo.

Il 10 agosto, in un'intervista a Giorgio Bocca, Dalla Chiesa denuncia il suo isolamento e la mancata attribuzione dei poteri: "Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato", dichiara al giornalista milanese.

Roma un poco si muove: l'articolo 416 bis del Codice Penale

Il 19 settembre 1982 la successiva reazione di sdegno da parte dell'opinione pubblica, portò lo Stato nel giro di pochi giorni ad approvare l'art. 416 bis del Codice Penale, che riconosceva la fattispecie dell'associazione mafiosa accanto all'associazione a delinquere. Questa era stata l'ultima proposta, firmata da Pio La Torre insieme al democristiano Virginio Rognoni, riguardava il riconoscimento del delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso.

La legge 646 del 13 settembre 1982 (conosciuta anche come legge la legge Rognoni-La Torre) , oltre a istituire l'articolo 416-bis del codice penale prevede anche il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti provenienti da estorsioni, usura, riciclaggio, droga, prostituzione, e introduce norme per il controllo sugli appalti pubblici e l'obbligo della certificazione antimafia.

L'Associazione a delinquere di tipo mafioso è ora una una fattispecie di reato prevista dal Codice Penale italiano, all'art. 416 bis, e quindi all'interno del V Titolo della Seconda Parte del codice stesso, ossia nella parte disciplinante i Delitti contro l'ordine pubblico.

Fino al 1982 per i delitti di mafia si faceva ricorso all'art. 416 (associazione a delinquere), ma tale fattispecie era ben presto risultata inefficace di fronte alla vastità e alle dimensioni del fenomeno mafia. Tra le finalità perseguite dai soggetti uniti dal vincolo associativo ve ne erano anche di lecite, e ciò costituì il più grande limite all'applicazione dell'art. 416.



La vicenda giudiziaria
La prima sentenza per il delitto Dalla Chiesa fu emessa nel 1989 dai giudici del maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino, che condannarono all'ergastolo come mandanti i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Nitto Santapaola, Bernardo Brusca, Michele Greco e Nene' Geraci. Il verdetto, basato sul cosiddetto 'teorema Buscetta, vale a dire la responsabilità della Commissione (la struttura direttiva di cui facevano parte i capimafia più importanti) in tutti gli omicidi di alto livello, fu poi annullato in appello. Ma la Cassazione ordinò nel '92 un nuovo processo che si concluse con la conferma di tutte le condanne di primo grado, ad eccezione di quella riguardante il capomafia catanese Nitto Santapaola, assolto.

Nel marzo del 2003 la corte d' assise di Palermo, presieduta da Claudio Dall'Acqua, ha condannato all' ergastolo Giuseppe Lucchese, boss di Brancaccio, e Raffale Ganci, capomafia del quartiere Noce per l'eccidio di Via Carini. I giudici si erano pronunciati nel 1995 sui capimafia accusati di essere gli esecutori materiali del delitto: Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo, entrambi condannati al carcere a vita. Delle circostanze attenuanti previste per chi collabora con la giustizia hanno beneficiato Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci i pentiti grazie ai quali si è fatta luce sulla dinamica dell'agguato. Entrambi dovranno scontare 14 anni di reclusione.

Dalla ricostruzione della dinamica dell'attentato, resa possibile anche grazie alle rivelazioni degli ex boss, è emerso che l' A 112, su cui si trovavano il prefetto e la moglie, venne affiancata e superata da una Bmw 518 su cui viaggiavano Antonino Madonia e Calogero Ganci. A fare fuoco con un kalashnikov fu Madonia che sparò dando le spalle al parabrezza. Una seconda vettura, guidata da Anzelmo, seguiva il prefetto, pronta ad intervenire per bloccare l' eventuale reazione dell' agente di scorta. Russo fu assassinato da Pino Greco "Scarpuzzedda" che seguiva i suoi complici a bordo di una moto. La A 112, dopo essere stata investita dal fuoco del kalashnikov, sbandò, costringendo l'auto dei killer a sterzare bruscamente a destra. L' attrito tra le due macchine sarebbe provato da un profondo solco sulla fiancata dell' automobile di dalla Chiesa. La ricostruzione conferma che Greco giunse sul luogo del delitto quando i suoi complici avevano già fatto fuoco sul prefetto. Il particolare era stato raccontato agli investigatori dai pentiti Ganci e Anzelmo, secondo i quali Pino Greco avrebbe protestato per non essere riuscito a sparare per primo. "Me li avete fatti trovare morti", avrebbe detto il killer.

“Un delitto maturato in un clima di 'solitudine”, come disse il Pm Nico Gozzo nella sua requisitoria del 2002 : ''Carlo Alberto Dalla Chiesa – ha detto - fu catapultato in terra di Sicilia nelle condizioni meno idonee per apparire l' espressione di una effettiva e corale volontà dello Stato di porre fine al fenomeno mafioso''. Inevitabili, secondo il magistrato, gli effetti di questo 'abbandono': ''Cosa Nostra - ha osservato il Pm - ritenne di poterlo colpire impunemente perchè impersonava soltanto sé stesso e non già, come avrebbe dovuto essere, l' autorità dello Stato''.

Chi era Carlo Alberto Dalla Chiesa?
Carlo Alberto Dalla Chiesa nasce a Saluzzo (Cuneo) il 27 settembre 1920. Subito dopo la guerra sposa Dora Fabbo (morta per un improvviso infarto nel 1978) da cui avrà tre figli: Nando, sociologo e saggista, senatore dell'Ulivo, Rita, conduttrice televisiva e Simona. In seconde nozze sposa (l'11 luglio 1982) la giovane Emanuela Setti Carraro. E’ Figlio di un generale dei carabinieri e con un fratello, Romano, anche nell’Arma.

L'8 settembre del '43, è comandante della tenenza di San Benedetto del Tronto e non esita a passare con la Resistenza. Proprio dai partigiani apprende le tecniche di guerriglia di cui si servirà trentanni più tardi contro il terrorismo. Finita la guerra col grado di capitano,nel '49 arriva in Sicilia, a Corleone. La mafia si sta organizzando e il movimento separatista è ancora forte. Il capitano Dalla Chiesa indaga su numerosi omicidi tra cui, quello del sindacalista socialista Placido Rizzotto.

In un rapporto del dicembre '49, dalla Chiesa indica in Luciano Liggio il responsabile di quell'omicidio, lo denuncia alla magistratura di Palermo insieme a Pasquale Criscione e Vincenzo Collura, poi assolti il 30 dicembre 1952 per insufficienza di prove. Sembra che la figura del capitano Bellodi del romanzo di Leonardo Sciascia Il giorno della civetta (1961), sia stata ispirata proprio dal giovane Dalla Chiesa in servizio in Sicilia. Poco dopo viene trasferito, prima a Firenze, poi a Como e infine a Milano. Dal '63, col grado di tenente colonnello è a Roma a comandare la brigata e, dopo cinque mesi, all'ufficio addestramento della legione carabinieri di leva di Torino.

La lotta al terrorismo

Il nome del generale Dalla Chiesa è legato soprattutto ai Nuclei Speciali dell’Antiterrorismo. Nel 1974 a Genova viene rapito il giudice Sossi, le gambizzazioni e i ferimenti sono all’ordine del giorno, l’Italia sprofonda nell’incubo del terrorismo. L’idea di un Nucleo Speciale Antiterrorismo viene a Dalla Chiesa, un gruppo selezionato di uomini con una certa esperienza maturata nel settore esclusivamente dedicati al terrorismo, ma è osteggiata dagli alti vertici dell’Arma, piace invece all’allora ministro dell’Interno Paolo Taviani che caldeggia la proposta e la impone ai vertici dell’Arma. Il 22 maggio 1974 con l’appoggio della politica nascono formalmente i Nuclei speciali Antiterrorismo coordinati dal generale Dalla Chiesa con sede a Torino.

L’otto settembre '74 gli uomini di Dalla Chiesa mettono a segno un colpo sensazionale: l’ arresto di Renato Curcio e Alberto Franceschini a Pinerolo, fondatori e capi storici delle Brigate Rosse. Il successo dell'operazione si deve sopratutto a un infiltrato Silvano Girotto detto “Frate Mitra”.

Il primo trionfo di Dalla Chiesa si trasforma comunque in una polemica. Perchè non ha aspettato a far scattare quell'operazione , avrebbe potuto aspettare e catturare tutto il vertice delle Br compreso quel Mario Moretti che quattro anni dopo avrebbe organizzato il rapimento e il delitto di Aldo Moro? Fatto sta che il Nucleo antiterrorismo viene smantellato e Dalla Chiesa trasferito nel 1976.

Ci vorrà la recrudescenza delle Br e la tragica fine del sequestro di Aldo Moro, perché il generale ritorni ad occuparsi di terrorismo. Nell'agosto del '78 ottiene l'incarico di coordinare la lotta al terrorismo, e mette in piedi un gruppo ristretto di investigatori, una cinquantina, che nel volgere di un paio d'anni mettono in ginocchio la lotta armata. In questo contesto avviene un episodio mai chiarito: dopo la scoperta del covo brigatista di via Monte Nevoso, a Milano, Dalla Chiesa avrebbe sottratto il memoriale di Moro e lo avrebbe passato all'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti, all'insaputa dei suoi superiori, per "depurare" il documento delle sue parti "scomode".

Il 19 febbraio 1980, viene arrestato Patrizio Peci a Torino, nei pressi di Piazza Vittorio, in compagnia di Rocco Micaletto; trascorre i primi dieci giorni di prigionia in assoluto isolamento e sembra intenzionato a rispettare la prassi brigatista del più assoluto riserbo su tutto ciò che riguarda l’Organizzazione, il suo organigramma, la sua struttura interna. Il primo contatto tra Peci e un diretto emissario di Dalla Chiesa si svolge nel carcere di Cuneo a due settimane dall’arresto; segue il primo incontro a quattr’occhi con Dalla Chiesa al quale Peci manifesta per la prima volta l’intenzione di collaborare.

In seguito per ritorsione verrà ucciso il fratello Roberto Peci. Il corpo verrà ritrovato nei pressi di una discarica di rifiuti in via Fosso dello Statuario, alla periferia di Roma. È il 3 agosto 1981 e da 54 giorni Roberto è prigioniero delle Brigate rosse - Fronte carceri, ala dissidente del Partito armato che di lì a poco – sotto la guida di Giovanni Senzani – avrebbe dato vita alle Brigate rosse – Partito della guerriglia.

Il super pentito rivela al Generale l’indirizzo di alcuni covi dove sono custodite armi: un modo per verificare l’affidabilità del neo-pentito. Tra questi primi indirizzi, però, ce n’è anche uno che non è un semplice deposito d’armi quanto un vero e proprio covo utilizzato poche settimane prima per la riunione della Direzione strategica delle Brigate rosse. L’indirizzo dell’appartamento è via Fracchia, a Genova, dove gli uomini dell’antiterrorismo irrompono la notte del 28 marzo 1980. Segue un cruento scontro a fuoco in cui restarono uccisi quattro brigatisti rossi: Anna Maria Ludman, Riccardo Dura, Lorenzo Betassa e Pietro Panciarelli. . Il maresciallo dei Carabinieri Rinaldo Benà colpito al volto rimase gravemente ferito e perse un occhio.

L’ombra della P2
Un'altra questione chiarita solo parzialmente, è la sua richiesta di adesione alla P2 di Licio Gelli. Nel 1976 dopo lo smantellamento dei Nuclei Antiterrorismo, la carriera del generale sembrava arrivata a un punto morto, il generale Picchiotti, in pensione e gia vicecomandante generale dell'Arma tra il 1974-1975, gli consiglia di iscriversi alla loggia massonica P2. Dalla Chiesa dopo qualche perplessità firma il modulo di richiesta d'iscrizione adesione, ma non formalizzerà mai la sua adesione.

Il 17 marzo del 1981 la Guardia di Finanza scopre nella villa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi (Arezzo), una lista di 953 nomi d’iscritti alla loggia massonica P2. Per settimane il paese attende di conoscere i nomi che sono su quella lista, la stampa fa insistentemente anche il nome di Dalla Chiesa. Fatto sta che alla pubblicazione della lista, resa nota dalla presidenza del Consiglio il 21 maggio 1981, il nome del generale non compare. Il figlio Nando ha sempre smentito categoricamente l’appartenenza del padre alla P2 o a qualsiasi altro organismo della massoneria.