lunedì 8 febbraio 2010

pag. 18) Roberto Calvi

Presidente del banco Ambrosiano, fondato da un prete per servire delle opere pie, Roberto Calvi fu all’origine di uno dei più grandi scandali finanziari della Storia d’Italia prima di scomparire in condizioni ancora poco chiare.








Londra, 17 giugno 1982. La polizia scopre il cadavere di un uomo di una sessantina d’anni. Impiccato ad un’impalcatura sotto il ponte di Blackfriars, con indosso un vestito di buon taglio, ha 7.400 sterline nelle tasche e un passaporto a nome di Gian Roberto Calvini. La polizia fa in fretta ad identificarlo. Si tratta infatti di Roberto Calvi, l’ex presidente del banco Ambrosiano di Milano, in fuga dal 12 giugno e ricercato dalla polizia di tutta Europa. Si chiude così uno dei più grandi scandali finanziari della Storia d’Italia. Una vicenda che è lontana dall’averci rivelato tutti i suoi segreti.
Suicidio di un uomo logorato e braccato? O assassinio? Molto presto si delinea l’idea che Roberto Calvi sia in realtà stato liquidato per impedirgli di parlare. Ma da chi? Dal Vaticano, legato al banchiere da legami tanto sulfurei quanto oscuri? Dalla Mafia, di cui il banco Ambrosiano gestiva i fondi? Dalla loggia P2, questo vero e proprio Stato nello Stato e di cui il defunto conosceva quasi tutti i segreti? Dai servizi segreti italiani? Nell’ottobre 2005, durante un nuovo processo organizzato da Roma nel quale è implicato Licio Gelli, l’ex “gran maestro” della loggia P2, la Giustizia riconosce che Calvi è stato assassinato, probabilmente attraverso un accordo con la Mafia, “per impedire un potere ricattatorio verso i referenti politico-istituzionali della massoneria, della loggia P2 e dello IOR [la banca del Vaticano] di cui aveva gestito alcuni investimenti”. Cinque persone sono accusate tra cui un ex-cassiere della Mafia. Una vera e propria coalizione d’interessi oscuri destinati a far tacere un uomo divenuto all’improvviso pericoloso.

Durante la sua vita, Roberto Calvi aveva sognato di essere un uomo influente. Aveva finito per diventarlo. A capo del banco Ambrosiano, una venerabile istituzione che egli aveva reso uno degli istituti finanziari più potentid’Italia, aveva fatto la sua entrata nella “crème” del capitalismo italiano ed europeo. Lui, uomo mediocre e senza altra cultura se non quella dei numeri, faceva infine parte dei grandi di questo mondo. Era stato ricevuto da Giovanni Agnelli, il brillante padrone della Fiat. Il cupo e taciturno Calvi, chiuso tutta la giornata nel suo ufficio blindato, aveva accesso quasi diretto al Papa e conosceva molte persone. Dovunque. Al Vaticano, nell’esercito, nella stampa, nell’industria, nella massoneria. Egli era, da solo, una potenza e si comportava come tale, regnando da autocrate sul banco Ambrosiano, intrecciando dei legami con figure ambigue della finanza e della politica, dandosi a manovre finanziarie di una complessità inaudita, causando alla fine la rovina della sua banca e la sua propria fine.

La sua storia è emblematica dell’Italia del dopo guerra, segnata da trucchi su grande scala ed incredibili collusioni d’interessi. Roberto Calvi nasce a Milano nel 1920. Figlio di un impiegato della Banca Commerciale, studia economia e contabilità. La guerra gli impedisce di diplomarsi laurearsi, cosa che gli rimarrà sempre come un complesso. Fa parte di quei soldati italiani che vanno a combattere in Russia a fianco dell’esercito tedesco. Nel 1944, è di ritorno in Italia dove, per prudenza, ha truccato la sua tessera del Partito fascista per quella del nuovo Partito socialista italiano e dove, tramite suo padre, entra alla Banca Commerciale. Non vi rimane a lungo. Ambizioso, ha capito che non ha alcun futuro in questa enorme banca controllata dallo Stato. Grazie ad un altro aiuto del padre, entra al banco Ambrosiano. Fondata a Milano nel 1894 da un prete e una manciata di fedeli, battezzata così in onore del santo patrono di Milano, Sant’Ambrogio, essa aveva per ambizione di servire delle organizzazioni morali, delle opere pie e delle organizzazioni religiose create a fini caritatevoli. Durante gli anni, si è trasformata in classica banca commerciale, limitando le sue operazioni al nord dell’Italia e caratterizzata da un grande prudenza di gestione.

Accumulo di società offshore

Quando Calvi vi entra come contabile, nel 1947, il direttore generale e futuro presidente, Alessandro Canessi, la sta trasformando in istituzione che accetta i depositi, ma che detiene ugualmente degli interessi nell’industria e nella finanza. Canessi ha notato in fretta Robero Calvi. Risoluto, dotato per le montature finanziarie, questi si occupa di mettere in atto le ambizioni del suo padrone, acquisendo partecipazioni nei grandi gruppi italiani, intrecciando accordi con altre banche europee, procedendo addirittura ad un’acquisizione in Svizzera. Così ha inizio la sorprendente ascesa di Roberto Calvi, che lo condurrà alla presidenza della banca nel 1975.

Calvi vuole inserire l’Ambrosiano nel grande flusso mondiale della finanza. E metterla al riparo da eventuali predatori, in particolare quelli che potrebbero essere istigati dalla sinistra italiana, maggioritaria dalle elezioni del 1977 e che [secondo Calvi, N.d.T.] vuole una rivincita sulla “banca dei preti”. Si spiega così l’incredibile accumulo di società offshore create in Lussemburgo, alle Bahamas e in America latina. Queste permettono di operare trasferimenti di fondi in modo del tutto riservato e di assicurare l’autocontrollo della banca, dato che queste filiali comprano massivamente delle azioni dell’Ambrosiano. Il tutto in flagrante violazione della legislazione in materia d’esportazione di capitali e di controllo dei cambi.
Tre persone strettamente legate avranno un ruolo chiave nella costituzione di questo impero finanziario al margine della legalità. La prima in ordine d’apparizione è Michele Sindona. Nato nel 1920, questo affarista siciliano molto ben introdotto negli ambienti finanziari milanesi, e che morirà avvelenato nella sua cella nel 1986, è un “habitué” del Vaticano di cui è diventato il consigliere finanziario ufficioso. Dotato per gli espedienti, egli lavora tra l’Italia e gli Stati-Uniti, dove tratta degli affari per dei finanzieri italo-americani, di cui alcuni appartenenti alla Mafia. A Calvi, che incontra nel 1968, Sindona offre una competenza in investimenti riservati e preziosi contatti nel mondo della finanza italiana. È lui ad aiutarlo a creare delle società di facciata nei paradisi fiscali. In cambio, Calvi sosterrà Sindona nei suoi affari italiani e americani. In breve, riciclerà il denaro sporco della Mafia.

Il secondo personaggio è ancora più enigmatico: Licio Gelli. Quando Calvi lo incontra nel 1975, attraverso l’intermediazione di Sindona, l’uomo è il “venerabile” della Propaganda Due, una loggia massonica meglio conosciuta sotto la sigla P2. Creata nel 1877, essa raggruppa centinaia di persone tutte appartenenti all’élite dirigente d’Italia: militari, politici, membri dei servizi segreti, grossi industriali, grandi ecclesiastici, caporedattori di giornali… Ex fascista, molto ben introdotto presso i dittatori latino-americani, ossessionato dalla minaccia comunista – al suo culmine negli anni ‘70 – Licio Gelli ha trasformato una banale loggia massonica in vero e proprio Stato nello Stato. Con il probabile aiuto della CIA, che ha fatto dell’Italia una delle sue basi avanzate del suo programma “Stay Behind” con l’obiettivo di contenere l’espansione comunista in Europa, la P2 mette in atto manovre di destabilizzazione con il fine di portare al potere un regime autoritario. Le manovre culmineranno in molteplici tentativi di colpo di Stato poi nell’attentato della stazione di Bologna nel 1980 che causerà 85 morti. Per Gelli, Calvi, iniziato alla P2 nel 1975, è una recluta di scelta. Egli metterà in effetti i suoi mezzi finanziari al servizio della “causa”, finanziando partiti politici, industriali e giornali di destra. È proprio tramite Gelli che Calvi assumerà il controllo occulto del giornale “Il Corriere della Sera”, messo al servizio della “strategia di tensione” che mira ad allontanare la sinistra italiana dal potere.

Il terzo uomo è non meno sorprendente. Si tratta di Paul Marcinkus. Nato nell’Illinois nel 1920, ordinato prete nel 1947, questo colosso di due metri, che morirà nel suo letto nel 1990 dopo essere caduto in disgrazia, ha fatto buona parte della sua carriera all’ombra di Paolo VI il quale lo ha fatto arcivescovo nel 1969. Membro della loggia P2 è stato soprattutto nominato da Paolo VI a capo dello IOR, l’Istituto per le opere religiose, la “banca del Vaticano” incaricata della gestione dei conti degli ordini religiosi e delle associazioni cattoliche. Sotto la sua direzione e con la benedizione del Papa, ansioso di dotare il Vaticano di mezzi finanziari all’altezza delle sue ambizioni – è il primo Papa a condurre una diplomazia planetaria – Marcinkus ha intrapreso la trasformazione dello IOR in una struttura di gestione di attivi e di attività e partecipazioni in Italia e nel mondo. In questa missione, egli ha beneficiato dell’appoggio di Sindona che lo ha aiutato a sbarazzarsi di investimenti poco redditizi. È sempre attraverso Sindona che è stato messo in contatto con Calvi. Alla ricerca di investimenti riservati e fruttuosi, lo IOR diviene molto rapidamente uno dei principali partners dell’Ambrosiano, poi il suo primo azionista. In cambio dell’appoggio finanziario dello IOR, l’istituzione di Roberto Calvi finanzierà, tra l’altro, il sindacato polacco Solidarnosc e la guerriglia dei Contras in Nicaragua.

Lettera a Giovanni Paolo II

Calvi, Gelli, Sindona, Marcinkus: durante tutti gli anni ‘70, questo quartetto legato da un comune odio per il comunismo opererà vasti trasferimenti di fondi tra l’Italia e i paradisi fiscali. Tuttavia all’inizio degli anni ‘80, la gestione rischiosa e solitaria di Calvi, la cui banca ha concesso ingenti prestiti alle sue filiali offshore per effettuare investimenti in gran parte segreti, inizia seriamente ad incuriosire la giustizia italiana. Ironia della sorte, è Sindona, furioso di non beneficiare dell’appoggio finanziario di Calvi durante uno scandalo scoppiato negli Stati Uniti, a mettere in moto il meccanismo che finirà con l’esplosione in volo dell’Ambrosiano. Nel 1977, il finanziere siciliano orchestra in effetti una campagna d’affissione notturna nelle vie di Milano denunciando le manovre di Calvi e i dirottamenti da lui operati. I due uomini potranno anche fare la pace, ma il meccanismo è stato messo in moto. In cinque anni, il sistema crolla.

Durante questo periodo, rintanato nel suo ufficio di Milano o nella sua villa di Drezzo dove conduce una vita discreta e centrata sulla sua famiglia, Calvi cerca di parare i colpi. All’inizio ci riesce, facendo forse da mandante nell’assassinio del magistrato incaricato del dossier, riuscendo addirittura a bloccare un’inchiesta della Banca centrale italiana. Ma “la vicenda della Banca d’Italia”, che egli suscita nel 1979 e che sfocia nella breve incarcerazione per corruzione del suo direttore generale, non è che un fuoco di paglia. A partire dal 1981, la morsa si stringe. Abbandonato dai suoi amici politici, privato dell’appoggio di Sindona, arrestato negli Stati Uniti nel 1979 per frode e complicità in assassinio, abbandonato anche da Marcinkus, che Giovanni Paolo II non può fare altro che proteggere per evitare un incredibile scandalo e il quale rifiuta ogni aiuto finanziario all’Ambrosiano, Calvi assiste, impotente, all’affondamento del suo impero.
Nel 1981, il banchiere tenta di riscattarsi nominando alla vice presidenza della banca l’industriale Carlo de Benedetti. Ma quest’ultimo getta la spugna dopo sessantacinque giorni dopo essersi visto rifiutare l’accesso ai libri contabili e aver ricevuto minaccie dalla Mafia. Il dado è ormai tratto! Il 5 giugno 1982, tredici giorni prima della sua morte, scrive una lettera a Giovanni Paolo II nella quale afferma di essersi preso carico “del pesante fardello degli errori e delle colpe commesse dai rappresentanti attuali e passati dello IOR”. Poi la fuga e la morte sotto un ponte del Tamigi. Lascia un buco di 1,4 miliardi di dollari nel banco Ambrosiano e di 250 milioni di dollari nelle casse dello IOR. Oggi, quest’ultimo investe ormai soltanto nelle obbligazioni dello Stato. Ma la vicenda Calvi è lontana dall’aver rivelato tutti le sue zone d’ombra.

[Articolo originale "Roberto Calvi" di TRISTAN GASTON-BRETON]