domenica 7 febbraio 2010

pag. 3) LA FINE DELLA MONARCHIA

dallo sbarco in Sicilia

- EVIS -

elezioni del 1946

Salvatore Giuliano ( pag. 1)

in Italia si e' creata

una commistione fra Mafia

e Istituzioni,anche grazie all'influenza Servizi Usa-Cosa Nostra USA


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L'ELVIS

L'Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia (EVIS),
creato da Antonio Canepa (conosciuto con lo pseudonimo Mario Turri),
che ne fu il primo comandante, ebbe vita nell'aprile del 1944 come
vera e propria formazione armata separatista nel solco dell'esperienza
del Movimento Indipendentista Siciliano.


Storia L'EVIS nacque nel 1944 come gruppo di lotta armata, ma anche
primo nucleo di quello che sarebbe dovuto diventare l'esercito regolare
della Repubblica Siciliana, in risposta alle continue violenze che
venivano perpetrate dalle forze dell'ordine italiane ai danni di sedi
ed esponenti del Movimento Indipendentista Siciliano (MIS).

Esso si prefiggeva da un lato il sabotaggio del governo italiano con
azioni di guerriglia, dall’altro di imprimere al processo indipendentista
siciliano una soluzione repubblicana. Alla sua costituzione, l'EVIS
non verrà pubblicamente riconosciuto dal MIS, e osteggiato da alcuni
suoi dirigenti, come Antonino Varvaro, che uscirà dal MIS e finirà nel PCI.
Organizzato in gruppi, fu inizialmente formato da circa cinquanta giovani,
aveva una uniforme, si riuniva ed operava in clandestinità.
Il modello applicato era quello dei partigiani jugoslavi, ma Canepa,
improvvisato militare, non ne ebbe il tempo perche morì un paio di mesi
dopo.Con l'uccisione di Antonio Canepa, avvenuta in contrada Murazzu
Ruttu vicino Randazzo (CT) insieme ad altri due militanti in un conflitto
a fuoco con i carabinieri il 17 giugno del 1945 l'EVIS subì uno sbandamento.

Salvatore Giuliano

Oltre all'Evis nacque anche nell'ottobre del 1945 la Gioventù Rivoluzionaria
per l'Indipendenza Siciliana (GRIS), e a capo di queste formazioni arrivò
un altro leader del Mis, Attilio Castrogiovanni, e dopo il suo arresto, il
suo posto fu preso da Concetto Gallo (pseudonimo Secondo Turri o Turri II).
I vertici del Mis, sia i separatisti catanesi come Andrea Finocchiaro Aprile,
legati ai nobili Guglielmo e Ernesto Paternò Castello di Carcaci e Paternò Castello -Marchese di San Giuliano che dell'ala palermitana, dove emergevano
il Barone Lucio Tasca d'Almerita, il Barone Stefano La Motta di Monserrato
ed il principe Giovanni Alliata Di Montereale avallarono nell'agosto '45
l'alleanza con Salvatore Giuliano, che fu nominato colonnello dell'Evis
e con la banda dei "Niscemesi". Cambiò quindi la lotta: si misero in atto
azioni terroristiche contro i carabinieri e l’esercito.

Nel maggio del 1946, quando venne concessa l'autonomia speciale alla Sicilia, ormai la guerriglia separatista era condotta solo dalle bande, il resto o era in galera o si era sciolto. Giuliano invece rifiutò di deporre le armi e continuò con la sua banda la lotta che lo avrebbe portato al suo assassinio.

È curioso notare che epigoni dei separatisti, nel 2008, portarono il vessillo dell'EVIS fra le altre bandiere che si riconoscevano nella Sicilia durante una manifestazione al Palasport di Acireale dove era partita la campagna elettorale del Mpa.


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Fino al 1946 l'Italia era una monarchia costituzionale basata sullo Statuto albertino: il vertice dello Stato si configurava come un organo denominato Corona, il cui titolare aveva il titolo di Re d'Italia. La titolarità della Corona si trasmetteva ereditariamente in maniera conforme alle leggi di successione. Nel 1946 l'Italia divenne una repubblica e fu, poco dopo, dotata di un'Assemblea costituente al fine di munirla di una costituzione avente valore di legge suprema dello stato repubblicano, onde sostituire lo Statuto albertino sino ad allora vigente.

Si trattò di un passaggio di evidente importanza per la storia dell'Italia contemporanea dopo il ventennio fascista ed il coinvolgimento nella guerra. La transizione si svolse in un clima di esasperata tensione e rappresenta un controverso momento della storia nazionale assai ricco di eventi, cause, effetti e conseguenze, che è stato anche considerato una rivoluzione pacifica dalla quale si produsse una forma di stato poco differente dall'attuale.

La nascita della repubblica fu accompagnata da polemiche di una certa consistenza circa la regolarità del referendum che la sancì. Sospetti di brogli elettorali e di altre azioni "di disturbo" della consultazione popolare tuttora non sono stati completamente fugati dagli storici e costituiscono oggetto di rivendicazioni da parte dei sostenitori della causa monarchica [1].

Il 2 giugno 1946, insieme alla scelta sulla forma dello Stato, i cittadini italiani (comprese le donne, che votavano per la prima volta) elessero anche i componenti dell'Assemblea costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale, e che, fino all'elezione del primo parlamento della Repubblica, svolse anche le funzioni di assemblea legislativa.

Il 2 giugno 1946



Che l’Italia sia un Paese cresciuto all’ombra di tanti misteri è ormai risaputo. Quel che invece non tutti sanno è che la Repubblica stessa c’è addirittura nata circondata da mille sospetti. Dei quali si discute ancora oggi, a 62 anni dal referendum che ha segnato la Storia della nostra nazione appena uscita dalla Guerra e dalla dittatura fascista.
La materia è complessa e il materiale reperibile è enorme. Ma in nessun caso si riescono a dissipare i dubbi e a far luce totale su ciò che accadde veramente in occasione delle consultazioni che dovevano decidere la composizione dell’Assemblea Costituente e, soprattutto, la forma di Stato che sarebbe dovuta essere adottata di lì in avanti.
Proviamo allora (e comunque) a ricostruire il più obiettivamente possibile cosa successe dal 2 giugno 1946 fino al 13 Giugno dello stesso anno, giorno in cui il Re, Umberto II sceglie l’esilio dopo un’aspra battaglia istituzionale col governo De Gasperi.
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E cominciamo proprio da qui, col proclama che Umberto II lasciò all’ansa alle ore 22 del 13 giugno 1946.

Questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della Magistratura, il Governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano e mi ha posto nell’alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire violenza.

Mentre il Paese da poco uscito da una tragica guerra, vede le sue frontiere minacciate e la sua stessa unità in pericolo, io credo mio dovere fare quanto sta ancora in me perché altro dolore e altre lacrime siano risparmiate al popolo che ha già tanto sofferto.

Si considerino sciolti dal giuramento di fedeltà al Re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove.

Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome dell’Italia e il mio saluto a tutti gli Italiani. Qualunque sorte attenda il nostro Paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli.
Viva l’Italia.

Era il 13 giugno 1946.
La Corte di Cassazione non aveva ancora sciolto le riserve sull’esito elettorale, ma il governo, per paura di essere esautorato dei propri poteri, gioca d’anticipo (su proposta di Togliatti) e destituisce (di fatto) il Re.
Ma come si arriva a questo momento di crisi?
Cosa è successo dal giorno del referendum, quel 2 giugno che oggi ricordiamo e commemoriamo come Festa della Repubblica?
Tratto da: il Timone n. 52 aprile 2006.
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La mattina del 2 giugno 1946 gli italiani si recarono alle urne (per la prima volta votavano anche le donne) per eleggere i membri dell’Assemblea Costituente e per partecipare al referendum che avrebbe dovuto decidere la forma dello Stato.
I seggi rimasero aperti fino al pomeriggio del 3 giugno.
(facciamo un passo indietro)
Umberto II era divenuto re d’Italia il 9 maggio di quell’anno, a seguito dell’abdicazione di Vittorio Emanuele III seguita dalla sua partenza per l’esilio ad Alessandria d’Egitto. Nettamente contrari alla monarchia erano il Partito comunista, il PSIUP (partito socialista di unità proletaria), il sindacato ancora unitario (CGIL), il Partito d’Azione, il Partito repubblicano. Per la libertà d’azione i liberali e la Democrazia Cristiana. Favorevole al re solo il piccolo PDI (Partito democratico italiano), le formazioni partigiane monarchiche (tra i loro massimi esponenti, le medaglie d’oro al valor militare Edgardo Sogno ed Enrico Martini «Mauri»), e – sia pure in modo non dichiarato – le Forze Armate, che si erano battute a fianco degli Alleati per fedeltà al giuramento prestato alla monarchia, e l’Arma dei Carabinieri. Ma non la polizia, largamente infiltrata da elementi ex partigiani comunisti. E non certo i superstiti del fascismo della Repubblica Sociale Italiana che, anzi, odiavano a morte il re e Badoglio. Assolutamente imparziale la Chiesa, che evitò sempre e comunque qualsiasi presa di posizione.
A Roma, i canali d’informazione sui risultati erano due. Uno, proveniente dalle prefetture, faceva capo al ministro dell’Interno, il socialista Giuseppe Romita. L’altro, proveniente dalle 31 circoscrizioni elettorali, confluiva verso il ministero della Giustizia di via Arenula, retto dal capo del Partito comunista Palmiro Togliatti, e da qui alla Suprema Corte di Cassazione, presieduta da Giuseppe Pagano, che aveva il compito di sommare i voti e proclamare il risultato finale.
Chiuse le urne, furono dapprima scrutinate le schede per la formazione dell’Assemblea Costituente, poi si passò a quelle referendarie.
Alle ore 8 del 4 giugno il ministro dell’Interno Romita redige un primo prospetto dei risultati e lo porta al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Il prospetto riguarda 4000 sezioni su 35.000, tutte localizzate nel Centro Nord, tendenzialmente «repubblicano», e attribuisce alla repubblica una maggioranza del 65 per cento. Decisamente poco, se si considera che gli italiani del Sud e delle Isole sono nella stragrande maggioranza monarchici. De Gasperi, che personalmente è per la repubblica, vede nero e quella sera stessa informa il ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, che si profila assai probabilmente la vittoria della monarchia. Il mondo politico romano entra in fibrillazione. Massimo Caprara, all’epoca segretario personale di Togliatti, ha ricordato, in un articolo pubblicato su Nuova Storia Contemporanea (n. 6 del 2002), che fu lui stesso a «passare» a Togliatti la telefonata di un Romita disperato. I risultati continuavano ad affluire al Viminale, questa volta anche dalle prefetture del Sud, e, al momento della telefonata, nel pomeriggio inoltrato del 4 giugno, la monarchia era ormai al 54 %. Fu a quel punto che Togliatti decise di agire direttamente sui funzionari del suo ministero addetti alle circoscrizioni delegando loro una «autonoma gestione dei voti», da comunicare alla Cassazione «al di fuori di ogni controllo». Se le parole hanno un senso: fate vincere la repubblica a tutti i costi.
Da un punto di vista storico, la cosa è del tutto logica: i funzionari erano infatti tutti uomini di fiducia del Guardasigilli, e quindi del PCI.
È a questo punto che, nella tarda mattinata del 5 giugno, De Gasperi va al Quirinale e informa personalmente il re Umberto II, affinché possa regolarsi, che la repubblica ha vinto. Umberto dispone immediatamente che la regina Maria José e i figli s’imbarchino per il Portogallo sull’incrociatore «Duca degli Abruzzi», lo stesso che ha trasportato Vittorio Emanuele III, dopo l’abdicazione, ad Alessandria d’Egitto.
Frattanto la stampa diffonde la notizia della probabile vittoria della monarchia e nel frattempo raccoglie le dichiarazioni polemiche e critiche dei sostenitori di re Umberto. Da sinistra si risponde per le rime. Pietro Nenni sull’«Avanti!»: «O la repubblica o il caos!».

Gli occhi di tutti erano puntati sulla Cassazione, cui toccava il compito di dichiarare ufficialmente chi aveva vinto e chi aveva perso. E fu sul tavolo della Cassazione che tempestivamente, prima del computo finale, l’onorevole Enzo Selvaggi, monarchico del Partito Democratico Italiano, fece recapitare un ricorso nel quale metteva in guardia i giudici: attenti, quello che conta è il numero dei votanti e non quello dei voti validi. Si riferiva, Selvaggi, subito seguito dall’onorevole Giovanni Cassandro, all’articolo 2 della legge 16 marzo 1946, istitutiva del referendum. L’articolo disponeva che avrebbe vinto la forma istituzionale (monarchia o repubblica) che fosse stata indicata «dalla maggioranza dei votanti» e non «dalla maggioranza dei voti validi», principio al quale invece, fino a quel momento, prefetture e funzionari di via Arenula si erano attenuti per il computo dei voti. Infatti, le rilevazioni erano state fatte soltanto sui voti giudicati validi.
Delle schede giudicate non valide (bianche, sporche o dubbie) non era stato fatto neppure il computo.
Poche ore dopo, sul tavolo della Cassazione giungeva un secondo ricorso, firmato dalla Medaglia d’Oro della Resistenza Edgardo Sogno, che chiedeva l’invalidazione del referendum essendo stati esclusi dal voto i residenti nella provincia di Bolzano e nella Venezia Giulia. Fu a questo punto che al primo presidente della Cassazione, Giuseppe Pagano, giunse una lettera di Togliatti che – come nota Franco Malnati nella sua opera La grande frode – forte del suo potere disciplinare sulla magistratura, gli ordinava di limitarsi alla lettura delle cifre dei verbali di ognuna delle 31 circoscrizioni elettorali e alla sommatoria complessiva «omettendo qualsiasi ulteriore pronuncia»: chiara infrazione – nota Malnati – della legge che invece prevedeva, da parte della Cassazione, «la proclamazione del risultato del referendum».
Lunedì 10 giugno, nella Sala Lupa di Montecitorio, il presidente Pagano comunica i risultati raggiunti: 12.672.767 voti per la repubblica, 10.688.905 per la monarchia. Mancano 118 sezioni (che comunque, data la loro esiguità numerica, non modificheranno nulla), ragione per la quale si rinvia la comunicazione definitiva ad una successiva seduta fissata per il giorno 18.
Martedì 11 giugno: gravissimi disordini a Napoli. La polizia apre il fuoco su un corteo monarchico. Nove morti. Disordini anche a Bari e a Taranto. Tutto il Sud, profondamente monarchico, è in subbuglio.
Mercoledì 12 giugno: Consiglio dei ministri in un clima di fortissima tensione. Togliatti, anche in seguito alle migliaia di denunce per brogli che continuano a piovere a cura dell’UMI (Unione Monarchica Italiana), dice testualmente: «Vi sono ricorsi che possono anche richiedere l’esame delle schede che tra l’altro non sono qui e forse sono distrutte» (lo ricorda Aldo Mola nel suo Storia della monarchia in Italia). In effetti, «sacchi e pacchi di verbali saranno poi rinvenuti nei luoghi più disparati» (ibidem).
Il 21 febbraio 2002, una giornalista del quotidiano Libero intervistò anche il padre gesuita Giuseppe Brunetta, il quale confermò le perplessità sulla legittimità dello spoglio e testimoniò che nelle cantine del Viminale egli stesso aveva visto le casse con le schede mai aperte.

Giovedì 13 giugno, ore 0,15: al termine della seduta, De Gasperi, in accordo con tutti i ministri eccettuato Leone Cattani, dichiarò di assumere i poteri di capo provvisorio dello Stato. Umberto II, subito informato, decise che sarebbe partito in aereo quel giorno stesso, alle ore 15, per l’esilio in Portogallo.
Il 18 giugno infine, la Corte di Cassazione, nella persona del suo presidente Giuseppe Pagano da lettura dei risultati definitivi, rispondendo così anche a tutte le contestazioni sollevate dai monarchici.
Resta ancora un dubbio, quello relativo al conteggio dei soli voti validamente espressi e non anche delle schede bianche e nulle per la definizione del quorum.
Ma alla fine, la Repubblica ha spiccato il volo e nonostante le molteplici difficoltà ha condotto l’Italia nel futuro.

PS: nel titolo ho citato una affermazione controversa usata da Togliatti per descrivere quell’eccezionale momento storico.
Ognuno ne faccia le valutazioni che preferisce…