giovedì 21 aprile 2011

Perdere una battaglia non vuol dire perdere una guerra


Risposta allo sfogo di un nuclearista
di Alessandro Cascone

Perdere una battaglia non vuol dire perdere una guerra. Ma la condizione fondamentale per recuperare da una sconfitta è valutare a freddo non solo gli eventi stessi ma anche e soprattutto al modo in cui si è scesi sul campo di guerra o pseudotale.
E’ notizia di queste ore il dietrofront del Governo sulla ripresa del nucleare in Italia e già si registrano le prime reazioni di rabbia di chi nel nucleare ci sperava e si scopre, almeno apparentemente, sconfitto.
Perché mentre in tutto il mondo, a seguito dell’incidente di Fukushima, pur essendo stata rimessa in discussione la scelta nuclearista, non si sono avute le reazioni collettive di paura e rifiuto, in Italia sì ?
Basta invocare l’atavica indolenza italica o, secondo alcuni, addirittura una cultura di sinistra colpevole di strumentalizzare l’incidente di Fukushima a fini politici ?
Conviene porsi allora delle domande. Come hanno affrontato i nuclearisti storici, soprattutto, e alcuni neonuclearisti, la questione Fukushima ?
Da adolescenti arroganti e spocchiosi, non raramente poco attenti ai fondamentali di psicologia collettiva. All’indomani dell’incidente invece di far decantare le acque torbide della paura, divenute improvvisamente e velocemente onde di tsunami psicologiche di proporzioni gigantesche, hanno preferito, con la camicia aperta in petto di dannunziana memoria, mettersi di traverso minimizzando quotidianamente le notizie che venivano dal Giappone per poi essere puntualmente smentiti, e sbugiardati, nelle 24 ore successive. Non è un incidente nemmeno paragonabile a Cernobyl ! Dicevano, e per mostrare che non appartenevano a loro le idiozie o le deficienze di conoscenza del tema nucleare introducevano agli ignoranti e agli idioti la scala INES sugli incidenti nucleari facendo conoscere che se Cernobyl aveva avuto 7, Fukushima era 4 per poi salire al livello 7 poche settimane dopo.
Ancora prima dell'incidente di Fukushima gli stessi nuclearisti storici, per convincere gli antinuclearisti, oramai persi nelle loro irrazionali e ignoranti paure (qualcuno anche accusato di esserlo falsamente) avevano, in più sedi e in diversi e numerosi momenti dichiarato categoricamente che il nucleare era oggi una scelta sicura poichè le centrali erano di nuovissima e ultima generazione e che quello che era successo a Cernobyl era praticamente impossibile da succedere nuovamente non avendo “niente in comune con le centrali che si costruiscono oggi”. Stesse parole usate per il dopo-Fukushima per scagionare le altre centrali operative per poi scoprire, fonti IAEA (International Atomic Energy Agency), che esiste ancora un reattore tipo-Cernobyl modificato dopo l’incidente del ’86 (stesso reattore RBMK di base con modifiche) a Kursk in Russia e che esistono (in Germania ad esempio) anche altre centrali tipo Fukushima (reattori BWR) appartenenti alla II generazione di reattori nucleari e non alla tanto blasonata e ritenuta sicura III e III+ generazione.

Edward L. Bernays, unanimamente considerato uno dei padri delle scienze delle pubbliche relazioni nel suo libro Propaganda, scritto nel 1928, sosteneva che: “La sola propaganda che perderà credito, man mano che il mondo diventerà più raffinato e intelligente, sarà quella ingannevole o fondamentalmente antisociale”.

I nuclearisti storici, massimalisti per vocazione, e i neonuclearisti, riformisti, e quindi forse culturalmente più disponibili dei primi a mettersi in discussione, vogliono vincere la guerra perchè a detta loro non è solo la loro ma quella di un’intera nazione perché è nell’interesse di questa che si dovrebbe fare la scelta di inserire anche (ma non solo) il nucleare tra le strategie energetiche ?
Bene ! Allora urge che entrambi tengano a mente una lezione fondamentale dello storico Thomas Buckle, l’autore della Storia della civilizzazione in Inghilterra: “Quando si allarga lo scarto tra le classi intellettuali e le classi lavoratrici, le prime non esercitano più nessuna influenza, le seconde non ne traggono alcun beneficio”. Solo mettendosi in sintonia con la gente, creando con umiltà e intelligenza emotiva situazioni che sappiano suscitare lo sviluppo della riflessione, si potranno convincere, eventualmente, i cittadini della giustezza delle proprie idee e con essa contribuire al loro sogno di una nazione culturalmente progredita e energeticamente indipendente.