sabato 6 febbraio 2010

pag.1) La morte di S.Giuliano


L'insabbiamento della verità sulla morte di Salvatore Giuliano
Pubblicato da Angelus
domenica 18 febbraio 2007
di Vincenzo Poma
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La mattina fatidica del 5 Luglio del 1950, in un cortile di Castelvetrano, il “presunto” corpo di Giuliano viene trovato crivellato di colpi, in seguito, come recita la relazione del capitano dei carabinieri Perenze, ad un presunto conflitto a fuoco sostenuto dagli agenti del CFRB contro l’ormai leggendario e mitico Turiddu.

Il corpo di Giuliano viene scoperto bocconi per terra, gamba destra leggermente piegata, la sinistra distesa, braccio destro lievemente arcuato, il sinistro parzialmente sotto il bacino, la testa piegata a destra poggiata sulla guancia sinistra, accanto il mitra che avrebbe usato per difendersi dall’agguato, i pantaloni malamente stretti alla vita con una cintura che salta alcuni passanti, una semplice canottiera, scarpe non proprio lussuose a quanto pare neanch’esse bene allacciate, senza orologio, senza quasi niente in tasca escluso forse un taccuino d’appunti, in sostanza un corpo vestito alla meno peggio e chiaramente “apparecchiato” per la stampa e i fotografi.

Tra tutti, però, non sfugge al giornalista Tommaso Besozzi un piccolo e allo stesso tempo gigantesco particolare: la canottiera era infatti inzuppata di sangue tra l’ascella destra (punto di entrata di alcuni proiettili) e le spalle, un dettaglio che subito apparve a dir poco “inquietante” al solerte inviato dell’Europeo, in quanto la misteriosa circostanza contraddiceva clamorosamente le leggi della gravità: il sangue cola verso l’alto e non verso il basso come ci si dovrebbe aspettare, un dettaglio che immediatamente fece comprendere a Besozzi che il cadavere in realtà era stato “depositato e aggiustato” in quel cortile ad esecuzione già avvenuta, non si sa quando.

Il fatto che poi le braccia e i polsi di Giuliano presentavano abrasioni varie la diceva lunga sull’inattendibilità della relazione del capitano Perenze che aveva parlato di una sparatoria che si sarebbe protratta nelle strade di Castelvetrano per decine e decine di minuti. Il famoso giornalista andò ad intervistare alcuni abitanti di Castelvetrano i quali dissero al contrario di non avere sentito alcuna sparatoria, che si era trattato di una notte tranquilla. Quando però sentì il racconto di alcuni vicini del cortile dove il corpo era stato sapientemente modellato per la folla apparentemente ignara, questi corressero i propri concittadini affermando che in realtà avevano sentito quella notte come un rumore di tegole smosse, quasi che qualcuno armeggiasse sopra un tetto e quindi due colpi secchi di arma da fuoco.

Poi tutto si sarebbe tranquillizzato e la notte sarebbe proseguita nel silenzio più assoluto. C’è qualcosa che non quadra: se quel cadavere era davvero quello del famoso Turiddu, a quale scopo ordire tutta questa messinscena che persino un bambino avrebbe facilmente smascherata?

Le cronache parlano di Pisciotta nella veste di traditore e assassino del suo capo, ucciso nel sonno quella notte tra il 4 e il 5 Luglio, ma è una tesi che non convince più nessuno; intanto perché alcuni studiosi e ricercatori sostengono che l’uccisione di Giuliano sarebbe avvenuta addirittura in un casolare alle porte di Monreale dopo che lo avrebbero addormentato con del sonnifero; in secondo luogo, ammesso e non concesso che Pisciotta si sia recato davvero a Castelvetrano, appare davvero inverosimile, vista la sagace e feroce sospettosità che aveva sempre mostrato Giuliano, l’ipotesi che questi si sia potuto addormentare accanto a colui che molti dei suoi informatori (tra cui addirittura ispettori di polizia, mafiosi, politici e persino magistrati) gli dipingevano come “traditore” e pronto ad ucciderlo: un uomo come Turiddu, che non aveva mai avuto fiducia in nessuno, eccetto per la madre venerata, credo non avrebbe esitato un minuto ad uccidere Pisciotta non appena se lo sarebbe visto presentare, per giunta di ritorno a quanto dicono le fonti da una vicenda che lo aveva visto fallire l’ordine del suo capo, un fallimento che certamente avvalorava le soffiate ricevute da Giuliano sul conto del suo luogotenente.

Tre altri piccoli ma inquietanti particolari mi spingono a propendere per l’ipotesi della cospirazione: il rumore di tegole di cui parla Besozzi, che fa balenare l’ipotesi di entrata o fuga da una certa casa di persone o persona attraverso la copertura, anche se su questo dettaglio le “voci” ufficiali parlano di appostamenti delle squadre del CFRB in maniera tale da non permettere a Giuliano di evadere dalla trappola che gli era stata costruita attorno; l’ammissione dello stesso capitano Perenze secondo il quale quella notte Salvatore Giuliano sarebbe stato accompagnato da un gregario misterioso e mai identificato che avrebbe tenuto sul viso un berretto floscio (si sa che Giuliano soleva posizionare in questo modo il suo berretto); il guazzabuglio non ancora risolto delle due entrate della misteriosa casa dell'avvocato di Castelvetrano e infine il fatto che a quanto sembra non esiste uno studio approfondito sulla vera identità del corpo esanime composto nel cortile e quindi nell’obitorio di Castelvetrano, quasi ad avvalorare una sorta di congiura del silenzio per nascondere il dettaglio più terribile della presunta “uccisione” dell’imprendibile “Sire” di Montelepre. Alcuni studiosi parlano di riconoscimento formale del cadavere, mentre altri avanzano alcune perplessità. Su questo punto persino Besozzi tace: come non pensare ad una qualche forma di censura del suo articolo che tanto scandalo aveva provocato, fino al punto che si racconta che qualcuno a quel tempo gli dava la caccia per assassinarlo?

Infine, lui, l’ex Capo dell’Ispettorato di P.S. per la lotta al banditismo, Ciro Verdiani, colui che era stato estromesso dal suo incarico dopo la strage di Bellolampo del 19 Agosto del 1949 e sostituito, nella direzione del nuovo Comando Forze Repressione Banditismo (CFRB) istituito dal Ministro dell’Interno Scelba, dal colonnello dei carabinieri Ugo Luca, a quanto sembra appartenente ai servizi segreti italiani.

Ebbene, raccontano le cronache che questo misterioso personaggio era in stretti rapporti col ministro Scelba, che dopo la sua estromissione dalla sua precedente funzione gli propone, subito accettata dall’interessato, la carica di Direttore generale dell’Ispettorato delle Frontiere con sede a Roma, un incarico molto delicato anche nell’evenienza di un già molte volte ventilato espatrio del celebre ricercato.

Anche Verdiani, si dice, apparteneva a qualche apparato dei servizi segreti. Il ministro Scelba, in sostanza, sembra lo richiami per metterlo a giorno di certi segreti ancora caldi riguardanti la strage di Portella della Ginestra e per affidargli l’incarico di mettersi segretamente in contatto con Giuliano per vedere di spingere questi a stilare un o dei documenti che scagionino per sempre la politica dall’implicazione più o meno veritiera in questo evento criminoso avvenuto appunto nella piana di Portella il 1 Maggio del 1947.

Ciro Verdiani si presta al gioco (del resto non aveva mai digerito il suo licenziamento quale capo dell’Ispettorato antibanditismo) e comincia a intessere con Giuliano una fitta corrispondenza ancora avvolta nel mistero e addirittura mette in pratica veri e propri incontri a tu per tu con l’uomo più ricercato d’Italia, incontri avvenuti a Castelvetrano e forse in altri posti, durante i quali lo convince ad una pausa delle sue gesta in cambio di un allentamento dei feroci rastrellamenti già messi in opera dal suo collega Luca, che applica contro Giuliano la tattica della terra bruciata, facendo arrestare in circostanze rocambolesche diversi suoi gregari con l’ausilio determinante dei pezzi forti della mafia.

Verdiani chiede comunque una contropartita, propone in sostanza a Giuliano di stilare alcuni memoriali (almeno due vengono scritti mentre un terzo rimane avvolto nella leggenda e non si è mai trovato) in cui dichiari che a meditare e a portare a termine la strage di Portella era stato solo lui senza alcuna motivazione politica esterna in lui instillata da individui insospettabili.

Giuliano sembra acconsentire ed in effetti scrive il primo documento che giunge tempestivamente a Viterbo proprio in coincidenza con l’inizio del lungo processo contro la sua banda. Ne scrive un altro ancora più stringente ad autoaccusatorio e a questo punto sembra che l’opera di Verdiani possa dirsi conclusa, ma questo non succede; Verdiani, nonostante tutto, continua ad alimentare con Turiddu una strana trattativa confidenziale che presto si trasforma in vera e propria amicizia, evidentemente ricambiata dal ricercato numero uno delle forze dell’ordine. Quest’amicizia giunge fino al punto che il nostro personaggio arriva persino ad informare Giuliano delle mosse del suo collega Ugo Luca, gli fa presente di prestare attenzione al suo luogotenente Pisciotta in odore di tradimento ed in sostanza, in ultimo, gli propone l’espatrio, una promessa che lui, in quanto Ispettore Capo delle Frontiere, poteva benissimo mantenere e portare in porto con relativa facilità.

Tutto sembra pronto e del resto è risaputo che Giuliano, poche settimane prima di essere “soppresso”, si stava preparando alla sua “diplomatica” uscita di scena, mantenendo un comportamento assai guardingo ed in sostanza non uscendo più dal perimetro cittadino di Castelvetrano (dove abitava nella casa dell’avvocato De Maria ubicata proprio nel cortile in cui venne trovato assassinato), dove era risaputo esisteva un piccolo aeroporto abbandonato dalle forze aeree italiane e americane, capace di far decollare in qualsiasi momento un aereo con Giuliano vivo.

A questo punto siamo ormai al 3 o 4 Luglio 1950, diversi testimoni raccontano di aver visto Giuliano vivo proprio il 4, senonchè quella sera arriva Pisciotta. Tra questi e Giuliano c’è subito uno scontro verbale, il secondo accusa apertamente il suo luogotenente di volerlo tradire; Pisciotta, che effettivamente aveva avuto molti abboccamenti col la mafia e con Luca tesi a perdere per sempre il suo capo, si difende come meglio può e alla fine, stranamente, secondo le ricostruzioni fatte dalle cronache di allora, entrambi vanno a dormire nella stessa stanza al primo piano della casa dell’avvocato De Maria.

Qui si sarebbe consumato nel sonno l’epilogo sanguinoso di Turiddu, ma per quanto precede non credo che Giuliano dormisse sonni tranquilli in quella notte afosa di Castelvetrano, sapendo di avere accanto il suo carnefice, a meno che la sua già nominata e proverbiale diffidenza si sia per sempre spenta in lui come neve al sole, un’evenienza che io sono portato a scartare in quanto Giuliano, pur ancora giovanissimo (appena 28 anni), era risaputo in possesso di un’intelligenza e di un intuito del tutto fuori del normale, tanto che nessuno credo aveva il coraggio di affrontarlo apertamente, neppure il più incallito mafioso, e del resto le cronache ci dicono che il Sire di Montelepre non aveva esitato ad uccidere tempo prima diversi capimafia che non avrebbero mantenuto alcuni impegni presi con lui.

Il resto è cronaca e l’abbiamo già accennato. Subentrano altri interrogativi questa volta leggendari ma sui quali non si è mai indagato a fondo: Giuliano avrebbe avuto un sosia che proprio quella sera sarebbe stato con lui.

Questo spiegherebbe il rumore di tegole che quindi, in quest’ottica, potrebbe essere interpretato come la fuga del “vero Giuliano” attraverso i tetti delle case di Castelvetrano, mentre il suo omologo sarebbe stato lasciato in casa De Maria a confabulare con Pisciotta, che forse era all’oscuro di questo delicato dettaglio, come forse lo erano il colonnello Luca e il suo aiutante Perenze, in questo contesto “giocati” dunque dai “servigi” segreti di Verdiani. Pisciotta dunque spara davvero credendo di uccidere Giuliano, ma questi già sarebbe decollato indisturbato dall’aeroporto di Castelvetrano diretto fuori dai confini italiani.

E’ una tesi certo molto ma molto ardita che del resto trova un ostacolo apparentemente quasi insormontabile proprio nella morte “anomala” di Verdiani e di Pisciotta, il primo, recitano le cronache, “suicidatosi” o fatto suicidare nel 1952 e il secondo avvelenato nel 1954 nel carcere dell’Ucciardone di Palermo, due avvenimenti sinistri che effettivamente gettano un’ombra di forte incertezza sulla ricostruzione precedente.

Ma è proprio così? Perché proprio Pisciotta e Verdiani muoiono in circostanze tanto tenebrose? Non avevano forse entrambi prestato un grande servizio allo Stato, il primo accordandosi col colonnello Luca sulla neutralizzazione di Giuliano e il secondo lavorandolo ai fianchi nel tentativo di estorcergli dei segreti specialmente in riferimento alla strage di Portella della Ginestra, salvo poi divenirne un amico quasi affidabile e confidenziale? E allora perché avrebbero dovuto ucciderli (ad ogni modo la versione ufficiale sulla morte di Verdiani parla esplicitamente di “suicidio”), pur sapendoli in un certo senso “innocui”, specie a morte avvenuta del temibile ricercato di Montelepre?

Può darsi che la mia risposta sia un po’ pregiudiziale e quindi forzata e fantastica, e tuttavia non deve stupire se oso affermare la tesi che entrambi questi due uomini di capitale e cruciale importanza nella storia dell’ultimo periodo di Giuliano potrebbero essere stati eliminati proprio a causa della loro “conoscenza” del segreto della messinscena della sua “presunta” uccisione, un segreto che, se rivelato, avrebbe avuto terribili conseguenze per lo Stato italiano, che sarebbe stato sbeffeggiato da tutte le Nazioni del mondo per il fatto di essersi accordato con un individuo che forse nascostamente aveva foraggiato per loschi intrighi politici.


In conclusione una piccola postilla, la spia certo leggendaria che segnala tuttavia che il garbuglio della fine di Giuliano resta tuttora avvolto nel più fitto mistero: sono passati ormai moltissimi anni da quell’oscuro 5 Luglio 1950 e giunge la morte della madre di Giuliano, Maria Lombardo; ebbene, si vocifera che alcuni abitanti di Montelepre abbiano visto un uomo strano con occhiali scuri scendere da una macchina, entrare guardingo nella casa di Giuliano, presenziare per qualche minuto nella stanza in cui era posta la deceduta e quindi sgattaiolare furtivo fuori, entrare nell’automobile e dirigersi verso l’aeroporto di Punta Raisi; si dice che qualcuno si metta a seguire l’enigmatico uomo per un lungo tratto ma poi ritornano sui loro passi…. Leggenda, mito, invenzione?

Non lo so. Resta il fatto che la storia di Giuliano continua tuttora a far parlare ed ad alimentare la fantasia di coloro che non credono alla sua morte…
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P.S. Ad ogni modo, quelle che precedono sono soltanto ipotesi e ricostruzioni cronacali basate su diverse pubblicazioni che naturalmente ho lette approfonditamente e sviscerate. Non si deve dimenticare comunque che molti documenti su Giuliano sono stati secretati fino al 2016.

Fonte: vincenzopoma.splinder.com

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Portella della Ginestra è una località in provincia di Palermo, situata nei pressi della Piana degli Albanesi. È nota per essere stata teatro della strage del 1º maggio 1947. Sul luogo della tragedia ora sorge un memoriale, opera dell'artista Ettore de Conciliis, costituito da numerose iscrizioni incise su pietre di grandi dimensioni, poste attorno al "sasso di Barbato", che prende il nome da Nicola Barbato, che fu fra i fondatori dei Fasci siciliani.

Eccidio di Portella della Ginestra
Salvatore Giuliano fu identificato come
il responsabile della strage di Portella

Motivazione politica
Il 1 maggio 1947, nell'immediato dopoguerra, si tornava a festeggiare
la festa dei lavoratori, spostata al 21 aprile durante il regime
fascista. Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi,
in prevalenza contadini, si riunirono nella vallata di Portella
della Ginestra, nei pressi di Palermo, per manifestare contro il
latifondismo, a favore dell'occupazione delle terre incolte, e
per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti
elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20
aprile di quell'anno e nelle quali la coalizione PSI - PCI aveva
conquistato 29 rappresentanti (con il 29% circa dei voti) contro
i soli 21 della DC (crollata al 20% circa).

Sulla gente in festa partirono dalle colline circostanti delle
raffiche di mitra che lasciarono sul terreno, secondo le fonti
ufficiali, 11 morti (9 adulti e 2 bambini) e 27 feriti, di cui
alcuni morirono in seguito per le ferite riportate.
La CGIL proclamò lo sciopero generale, accusando i latifondisti
siciliani di voler “soffocare nel sangue le organizzazioni dei
lavoratori”

Solo quattro mesi dopo si seppe che a sparare materialmente
eranostati gli uomini del bandito separatista Salvatore Giuliano,
Colonnello dell'E.V.I.S.. Il rapporto dei carabinieri sulla
strage faceva chiaramente riferimento ad "elementi reazionari
in combutta con i mafiosi locali". Nel 1949 Giuliano scrisse
una lettera ai giornali, in cui affermava lo scopo politico
della strage. Questa tesi fu smentita dall'allora ministro
degli Interni Mario Scelba.

Nel 1950, il bandito Giuliano fu assassinato dal suo luogotenente
Gaspare Pisciotta, il quale morì avvelenato in carcere quattro
anni più tardi, dopo aver affermato di voler rivelare i nomi dei
mandanti della strage. Attualmente vi sono forti dubbi sul fatto
che Pisciotta fosse l'autore dell'omicidio, come è stato fatto
osservare nella trasmissione Blu notte ed emerge dal lavoro di
Alberto Di Pisa e Salvatore Parlagreco

Le vittime
Queste le vittime commemorate dalla lapide posta sul luogo del
massacro:

Margherita Clesceri, Giorgio Cusenza, Giovanni Megna (18 anni),Giovanni Grifò (12 anni) Vincenza La Fata (8 anni) Giuseppe Di Maggio (7 anni)Filippo Di Salvo
Francesco Vicari Castrenze Intravaia (18 anni) Serafino Lascari (15 anni)
Vito Allotta (19 anni)
Le prime ipotesi

Sul movente dell'eccidio furono formulate alcune ipotesi già all'indomani
della tragedia. Il 2 maggio 1947 il ministro Scelba intervenne
all' Assemblea Costituente, affermando che dietro all'episodio non
vi era alcuna finalità politica o terroristica, ma che doveva essere
considerato un fatto circoscritto, e identificò in Salvatore
Giuliano e nella sua banda gli unici responsabili.
Il processo di Viterbo del 1951 (dapprima istruito a Palermo, poi
spostato per legittima suspicione) si concluse con la conferma di
questa tesi, con il riconoscimento della colpevolezza di Salvatore
Giuliano (morto il 5 luglio 1950, ufficialmente per mano del
capitano Antonio Perenze) e con la condanna all'ergastolo di Gaspare
Pisciotta e di altri componenti la banda. Pisciotta durante il
processo, oltre ad attribuirsi l'assassinio di Giuliano, lanciò
pesanti accuse sui presunti mandanti politici della strage.
« Coloro che ci avevano fatto le promesse si chiamavano così:
il deputato DC Bernardo Mattarella, il principe Alliata,
l'onorevole monarchico Marchesano e anche il signor Scelba…
Furono Marchesano, il principe Alliata, l'onorevole Mattarella
a ordinare la strage di Portella… Dopo le elezioni del 18 aprile
1948, Giuliano mi ha mandato a chiamare e ci siamo incontrati
con Mattarella e Cusumano; l'incontro tra noi e i due mandanti
è avvenuto in contrada Parrini, dove Giuliano ha chiesto che
le promesse fatte prima del 18 aprile fossero mantenute.
I due tornarono allora da Roma e ci hanno fatto sapere che Scelba
non era d'accordo con loro, che egli non voleva avere contatti
con i banditi. »
La seconda ipotesi fu quella sostenuta da Girolamo Li Causi
in sede parlamentare, dalle forze di sinistra e dalla CGIL,
secondo la quale il bandito Giuliano era solo l'esecutore del
massacro: i mandanti, gli agrari e i mafiosi, avevano voluto
lanciare un preciso messaggio politico all'indomani della
vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni regionali.

In seguito ai riscontri emersi dal processo, diversi
parlamentari socialisti e comunisti denunciarono i rapporti
tra esponenti delle istituzioni, mafia e banditi.
Intervenendo alla seduta della Camera dei deputati del
26 ottobre 1951, lo stesso Li Causi affermava:

« Tutti sanno che i miei colloqui col bandito Giuliano
sono stati pubblici e che preferivo parlargli da Portella
della Ginestra nell'anniversario della strage.
Nel 1949 dissi al bandito: "ma lo capisci che Scelba ti farà
ammazzare? Perché non ti affidi alla giustizia, perché
continui ad ammazzare i carabinieri che sono figli del popolo
come te?". Risposta autografa di Giuliano, allegata agli atti
del processo di Viterbo: "Lo so che Scelba vuol farmi uccidere
perché lo tengo nell'incubo di fargli gravare grandi
responsabilità che possono distruggere la sua carriera
politica e finirne la vita". È Giuliano che parla.
Il nome di Scelba circolava tra i banditi e Pisciotta ha preteso,
per l'attestato di benemerenza, la firma di Scelba; questo nome
doveva essere smerciato fra i banditi, da quegli uomini politici
che hanno dato malleverie a Giuliano. C'è chi ha detto a Giuliano:
sta tranquillo perché Scelba è con noi; Tanto è vero che Luca
portava seco Pisciotta a Roma, non a Partinico, e poi magari ammiccava:
hai visto che a Roma sono d'accordo con noi? »
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Opinioni recenti
In tempi più prossimi la tesi delle collusioni ad altissimo
livello, fino al capolinea del Quirinale, è stata assunta e
rilanciata da Sandro Provvisionato, in Misteri d'Italia (Laterza 1994)
e da Carlo Ruta, il quale nel prologo de Il binomio Giuliano Scelba
(Rubbettino 1995)scrive:
« Sugli scenari che si aprirono con Portella della Ginestra, alcuni
quesiti rimangono aperti ancora oggi: fino a che punto quegli eventi
tragici videro realmente delle correità di Stato? E quali furono
al riguardo le effettive responsabilità, dirette e indirette, di
taluni personaggi chiamati in causa per nome dai banditi e da altri?
Fra l'oggi e quei lontani avvenimenti vige, a ben vedere, un preciso
nesso. Nel pianoro di Portella venne forgiato infatti un peculiare
concetto della politica che giunge in sostanza sino a noi. »
Una tesi recente Una tesi più grave, recente, attribuisce invece
la strage ad una coincidenza di interessi tra i post-fascisti legati
alla Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, i servizi segreti
USA (preoccupati dell'avanzata socialista - comunista in Italia)
ed i latifondisti siciliani.
« I rapporti desecretati dell’Oss e del Cic (i servizi segreti
statunitensi della Seconda Guerra Mondiale), che provano l’esistenza
di un patto scellerato in Sicilia tra la cosiddetta “banda Giuliano”
e le forze paramilitari del fascismo di Salò (in primis, la Decima
Mas di Junio Valerio Borghese e la rete eversiva del principe Pignatelli
nel meridione) sono il risultato di una ricerca promossa e realizzata
negli ultimi anni da Nicola Tranfaglia [6] (Università di Torino),
dal ricercatore indipendente Mario J. Cereghino e da chi scrive[7]. »

(da Edscuola, Dossier a cura del prof. Giuseppe Casarrubea)

« Il Giuliano allora si è avvicinato a me chiedendomi dove fosse mio
fratello. Ho risposto che si trovava in paese con un foruncolo. Egli
allora mi ha detto: 'E' venuta la nostra liberazione'. Io ho chiesto:
-E qual è?- Ed egli di rimando mi disse: 'Bisogna fare un'azione
contro i comunisti: bisogna andare a sparare contro di loro, il 1°
maggio a Portella della Ginestra. Io ho risposto dicendo che era un
'azione indegna, trattandosi di una festa popolare alla quale avrebbero
preso parte donne e bambini ed aggiunsi: 'Non devi prendertela contro
le donne ed i bambini, devi prendertela contro Li Causi[8]e gli altri
capoccia' » (Dichiarazione di Gaspare Pisciotta)

Non fu mai possibile dimostrare la veridicità di questo scenario,
tramite testimonianza diretta, perché Giuliano fu ucciso nel 1950.
Il probabile assassino, il suo luogotenente Gaspare Pisciotta,
venne a sua volta ucciso nel 1954, avvelenato in carcere con della
stricnina nel caffè, dopo aver preannunciato rivelazioni sulla strage.
Sosteneva di aver ucciso Giuliano dietro istruzioni del Ministro
dell'Interno Mario Scelba e di aver raggiunto un accordo con il
colonnello Ugo Luca, comandante delle forze anti banditismo in Sicilia,
di collaborare, a condizione che non fosse condannato e che Luca sarebbe intervenuto in suo favore qualora fosse stato arrestato.

« Il nominato Gaspare Pisciotta di Salvatore e di Lombardo Rosalia,
nato a Montelepre il 5 marzo 1924, raffigurato nella fotografia in
calce al presente, si sta attivamente adoperando - come da formale
assicurazione fornitami nel mio ufficio in data 24 giugno c. dal
colonnello Luca - per restituire alla zona di Montelepre e comuni
vicini la tranquillità e la concordia, cooperando per il totale
ripristino della legge. »