venerdì 5 febbraio 2010

SE PERMETTETE PARLIANO BENE DELLA TERRONIA E DELLA MAFIA

L'AUTORE DELLA RICERCA N.L.R.
Passo dal dektop al portatile a fare copia /incolla di vecchi appunti per aggiornarli e farne note su fb ma non mi riesce a mettere giu' una nota che partendo dall' accordo di Lucky Luciano con l' intelligence USA (che allora non era ancora la CIA), attraverso vari avvenimenti individui il file rouge che dalla Sicilia del 1940 ritorni alla Sicilia di oggi, dopo aver toccato nel tempo vari posti nel mondo e coinvolto energie le più disparate.

Prescindendo da considerazioni geopolitiche che ci portebbero molto lontano nel tempo e nello spazio, limitiamo il nostro orizzonte agli ultimi sessanta anni di vita italiana e se volete parliamo bene della Terronia e della Mafia.
La storia e' lunga e contorta e piena di misteri insoluti: leggetela con calma, se volete.

C'E' COMUNQUE UN FILO ROSSO CHE UNISCE I MISTERI D' ITALIA
Si puo partire per esempio dall' 'Evis, continuando poi con la morte di Giuliano, la stria di Anastasia, di Pisciotta, di Mattei, di Moro, di Sindona, di Calvi, di Pecorelli, di Dalla Chiesa, Mattarella, Falcone, Borsellino, i tentataivi di golpe, i servizi deviati, Stay Behind, Gladio, le stragi di Milano, Brescia, Bologna, l' attentato al Papa, la Banca Privata, lo IOR, gli attentati dal 1992 al 1994, Tangentopoli, Mani Pulite ........e via di seguito.

Ci siamo messi in testa di spiegare la storia vera dell'Italia del dopo guerra.

Il mio punto di vista è che i documenti ufficiali, per come vengono compilati, nascono o da compromessi o da visioni superficiali ricercate e volutamente vaghe.

Gli "appunti" dei Servizi in genere non hanno nè date nè firme.

Immaginate come come hanno giocato con i fatti e con la verita' in Italia,le varie polizie, i servizi, i politici e gli amministratori.
M e deriva che l' unico modo per interpretare i fatti, in maniera corretta è valutarne gli effetti a posteriori, cercando di capire "cui prodest" .

Ed è quello che stiamo cercando di fare per analisi e sintesi successive.


1. Premessa.

Sono nato a Catania circa 74 anni fa e per 55 anni la mia professione, pur non essendo un viaggiatore di commercio, mi ha portato a risiedere a lungo in alcune città dell’Italia centro-settentrionale (Orvieto, Modena, Torino, Mantova, Trento, Pordenone), per mesi in altre, sparse a Centro e Sud (Sabaudia, Bracciano, Caserta, Messina, Palermo) e di conoscere, anche profondamente, persone e ambienti di vario livello socio-conomico-culturale in tutt’Italia.

Per 55 anni mi sono battuto contro un pregiudizio ed ho spesso avuto ragione, trattandosi di un pregiudizio basato sulla cattiva informazione e sull’incapacità, molto diffusa anche fra la gente di elevata istruzione, di impostare correttamente un problema, analizzarne gli elementi con le loro correlazioni e di indicarne le corrette soluzioni.

Il pregiudizio è: il Meridione d’Italia , Isole comprese, è arretrato perchè è terra di malavita ed è irredimibile.

Ho spesso avuto ragione perché sono un fortunato: ho potuto saggiare con mano la composita realtà nazionale ed ho constatato de visu come nell’evoluto Piemonte, nella operosa Lombardia e nella dotta Emilia la qualità della vita del contadino indigeno non fosse più umana di quella del contadino siciliano (per una conferma, leggere "Paesi tuoi" di Cesare Pavese e confrontare con le opere di Verga) così come la vita nelle città non scorreva in maniera diversa.

Ma una cosa ho notato: la preparazione scolastica dei giovani meridionali era sicuramente migliore.

Il motivo c’era: nell’industrializzato Nord non si sentiva l’esigenza di cervelli imbottiti di nozioni ma solo di braccia pronte a lavorare di tornio, appena finita la scuola dell’obbligo, mentre nel Sud "sottosviluppato" la perenne carenza di posti di lavoro portava le famiglie a mantenere i figli a scuola, nell’attesa di un titolo di studio che desse loro la speranza di un "posto sicuro " di pubblico dipendente.


E così nel "continente" molti hanno subìto gli effetti di quanti, a volte in malafede, parlando della " Terrona tellus" ai terroni hanno attribuito colpe che non hanno.

Questa lunga premessa per invitare coloro che, con la solita normale
scarsa informazione colpevolizzano il meridione ed i meridionali,
a imparare a leggere bene la Storia e a leggere bene quegli autori
che di Mafia parlano.

Pochi nomi sono sufficienti, a persone di buona apertura mentale,
per comprendere bene come stanno le cose:
Michele Pantaleone
("Mafia e politica" e "Mafia e droga"),
Leonardo Sciascia
(la bibliografia è infinita),
Pino Arlacchi
("Gli uomini del disonore"),
Enzo Biagi
("Il boss è solo")
e l’eroe (da non dimenticare mai, assieme all’amico Paolo Borsellino)
della lotta al fenomeno, Giovanni Falcone ("Cose di Cosa Nostra").

2. La genesi siciliana


Lasciando da parte ogni disquisizione semantica sull’origine ed il significato, la Mafia nasce in Sicilia nel 1812, a seguito dell’abolizione dei privilegi feudali e da allora è fenomeno non dissimile da quello rappresentato dal Manzoni nei "Promessi sposi", in cui il signorotto feudale, chiamiamolo "Barone", è il monarca assoluto del Feudo - padrone della vita e della morte di chi vi opera - e, con la sua organizzazione di governo del Feudo, spesso in contrasto con le leggi dello Stato, si pone al di sopra dello Stato stesso , perché lo Stato altro non è che il tutore e conservatore del sistema di Potere, di cui il signorotto fa parte.

L’organizzazione interna al Feudo, ha una sua struttura piramidale di tipo gerarchico-funzionale: al vertice c’è un Capo (il Gabelloto), con un suo staff, e in sottordine varie unità di uomini armati dipendenti, ciascuna con il proprio capo . Ogni capo di unità è il responsabile del proprio livello ed assicura ai propri sottoposti benessere ed impunità ( anche attraverso l’intervento del "Barone" nei confronti dello Stato di diritto).
Alla base di tutto ci sono quelli che lavorano nel feudo.

Il benessere degli uomini armati viene perseguito attraverso attività che non sempre sono nel rispetto della legge, anzi assumono sempre più frequentemente un carattere delinquenziale, fortemente condizionatorio.
Quando nel Feudo l’autore diretto di un' infrazione alla legge dello Stato viene scoperto, anche se in flagrante, il "Barone", con la sua influenza diretta o indiretta, ne garantisce l’impunità.

Il "Barone" (uomo del Potere politico ed economico), vive a lungo in città, affida l' amministrazione del feudo nelle mani incontrollate del Gabelloto, il quale con mezzi più o meno leciti, gli assicura il flusso di danaro che gli consente di vivere come gli si addice e spesso al di sopra delle sue possibilità facendo debiti col Gabelloto, cosicchè è costretto sempre più spesso a scendere a compromessi con il Gabelloto stesso, che gradualmente acquista un suo proprio autonomo Potere condizionatorio.
Peraltro il Barone per saldare i debiti è costretto spesso alla cessione più o meno spontanea delle sue terre direttamente o tramite prestanomi al Gabelloto, di cui diviene sempre più debitore in ogni senso.
Nasce, così, una forma di "Latifondo" non baronale in cui vige la legge del Gabelloto.
Si crea un intreccio di interessi fra "Baroni" (che sono contemporaneamente il Potere politico e il Potere economico) e Gabelloti, i quali con l' Organizzazione della Baronia diventano sia Capi del Potere condizionatorio, ossia i Capi della Mafia del Feudo o del Latifondo, sia essi stessi rappresentanti del Potere economico.

3. Economia, Politica e Mafia


Nel 1812, come già detto, nella nostra Italia, la situazione del Potere é identica a quella Lombarda del Manzoni e a quella della Sicilia: i "Baroni", assieme ai Capi degli Stati, sono contemporaneamente il Potere politico, il Potere economico ed il Potere condizionatorio: di quest’ultimo posseggono gli strumenti necessari, le milizie armate, in grado anche di condizionare le scelte politiche dello Stato, quale che sia la sua forma.

La situazione si chiarisce meglio man mano che spuntano le varie Costituzioni, più o meno democratiche: il "Barone" fa parte del "Potere dello Stato ufficiale, il Potere politico", o in prima persona (vedi i vari Pari, Senatori , ecc.) o attraverso suoi sodali eletti dai rari elettori consentiti dalla varie leggi elettorali del tempo. Lo Stato legifera, spesso e volentieri nell’interesse dei "Baroni" e i "Baroni", ove qualche legge non fosse di loro gradimento, nell’ambito del loro territorio perseguono i loro interessi con le buone o con le cattive, contro la legge dello Stato, attraverso la loro organizzazione.

La nascita dell’Unità d’Italia sotto l’egida piemontese e con lo Statuto Albertino, attraverso gli spostamenti della Capitale da Torino a Firenze e poi definitivamente a Roma, modifica gradualmente la distribuzione del Potere, perfezionandola, funzionalizzandola sempre meglio.
Il Potere politico, in pratica, passa nelle mani dei rappresentanti degli interessi del Potere economico: il Potere economico è radicato a Nord , dove esistono i cosiddetti "Borghesi illuminati", che devono lucrare i profitti degli "investimenti" fatti per il raggiungimento dell’Unità, e i Nobili Grandi latifondisti (per semplicità Baroni) che, assieme a quelli delle altre Regioni, devono evitare lo spappolamento dei loro feudi.
Il Potere economico, in conseguenza, si radicalizza nelle mani sia dei Baroni del Nord sia in quelle della Borghesia industriale e finanziaria del Nord (ed anche qui ci sono Baroni), che hanno appunto dato l’avvio all’avventura unitaria e i cui esponenti per la maggior parte ruotano attorno alla Corte. A questi gradualmente si aggregano anche i Baroni e i Latifondisti del Centro e del Sud.

La Politica economica italiana di quegli anni è pertanto Nordicocentrica e Latifondista, e anche quando si propone di migliorare le condizioni del Centro-Sud, la sua realizzazione è pilotata dal Potere politico che la indirizza a favore del Potere economico nordista (spesso e volentieri anche contro l’organizzazione economica preesistente all’Unità nei vari Staterelli annessi) e tale si mantiene anche durante il periodo del ventennio fascista e, successivamente, anche in questi ultimi 60 anni .

In ciò hanno grande rilevanza i parlamentari del Sud ( denominati ironicamente"àscari", a cavallo dei secoli XIX e XX "), selezionati secondo le esigenze e gli indirizzi del Potere nordista e pronti sempre a votare qualsiasi legge favorevole al Potere economico nordista, senza alcuna ricaduta positiva sul centro-meridione (anzi impoverendolo) pur di ottenere qualche legge favorevole al mantenimento dello statu quo nel Feudo baronale e nel Latifondo ( peraltro molto diffuso anche a Nord).

E nella selezione e nell'elezione di questi parlamentari interviene fortemente il Potere condizionatorio dei vari capi della Mafia.

Infatti, di pari passo con la creazione dello Stato unitario, in Sicilia cresce il Potere condizionatorio dei singoli Capi della Mafia, che si aggregano fra loro in un' organizzazione più o meno segreta che avviluppa le attività economiche, lecite e meno lecite, più importanti, con una propria "nomenklatura" in grado di porsi al di fuori ed al di sopra della Legge, che favoriscono appunto la selezione e la scelta di politici ad essi graditi.

4. Concludendo.

Vale la pena ricordare che il capitalismo liberale è sempre cieco, vuole profitti nell’immediato e non guarda quasi mai al medio e al lungo termine.

In sostanza la politica economica e sociale italiana dello Stato nazionale è stata indirizzata a favorire il Potere economico nordista da un Potere politico di chiaro stampo nordista in cui i rappresentanti del centro-sud, selezionati fra persone ossequiose agli amici del Potere economico nordista, altro non erano che lo strumento di scambio per mantenere le condizioni di privilegio anche del Potere economico meridionale (che, ovviamente , nel passare degli anni cambia e si adatta al mutamento del contesto socio-economico). Va ricordato, peraltro, che la scelta dei parlamentari del Sud viene sempre pilotata dal Potere economico del Nord cui interessa avere rappresentanti politici addomesticati, politici selezionati in Sicilia, come già detto, dal volere dei Capi della Mafia, dei quali questi politici curano gli interessi.
E’ vero che sono stati inventati enti come la Cassa del Mezzogiorno e aziende delle Partecipazioni Statali con lo scopo di sostenere l’economia del Centro-Sud, ma di fatto enti e aziende o sono stati sempre resi colposamente inefficienti dal Potere politico o sono stati invece utilizzati per favorire la crescita del Potere economico nordista
Tale tipo di politica che indubbiamente ha fatto anche progredire l’Italia sul piano economico (ma non poteva non progredire nel contesto in cui si è sviluppata), oggi rivela sempre il suo miope indirizzo di base, che di fatto ha impoverito sempre più il meridione e pur avendo arricchito il Nord, lo ha privato dei benefici che ne avrebbe tratto da una adeguata crescita del Mezzogiorno.

@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@

ALBERT ANASTASIA


Albert Anastasia, nato Umberto Anastasio (Tropea, 26 settembre 1902 – New York, 25 ottobre 1957) è stato un criminale italiano, legato alla mafia.

Biografia
Era soprannominato The Mad Hatter, ovvero il "cappellaio matto" e Lord High Executioner; boss della potente Famiglia Gambino dal 1951 al 1957, è stato l'autore di decine di omicidi negli anni '20 e '30, ed è ricordato per la sua brutalità e per il suo ruolo all'interno della banda dei sicari chiamata Murder, Inc.;

Anastasia è il primo di 9 fratelli, di cui uno, Anthony Anastasia, lo seguirà nella carriera all'interno della cosca, lavorando come capo del sindacato al porto. Nel 1919 emigra a New York ed entra a far parte dell'associazione internazionale degli scaricatori di porto. In questo periodo uccide un compagno dell'associazione e viene condannato a 18 mesi di carcere a Sing sing rischiando addirittura la sedia elettrica.
Alla sua uscita conosce Lucky Luciano ed entra a far parte della cosca di Joe Masseria.

Albert Anastasia al soldo di Lucky Luciano partecipa alla cosiddetta Guerra castellammarese per eliminare la vecchia mafia capeggiata dal suo precedente boss Masseria e di Salvatore Maranzano.
Fu uno dei killer di Joe Masseria al ristorante Scarpato di Coney Island assieme a Vito Genovese, Joe Adonis e Bugsy Siegel. Lucky Luciano per la sua lealtà lo colloca alla conduzione del racket come braccio esecutivo del sindacato nazionale degli scaricatori di porto nella famiglia guidata da Vincent Mangano con il ruolo di capodecina sotto Don Vicenzu.

All'inizio degli anni '40, assieme a Lepke Buchalter, ha il controllo di alcuni sindacati delle confezioni, e crea la Murder, Inc., un gruppo misto di sicari Italiani, Ebrei ed Irlandesi, cordinati proprio da Buchalter su ordine di Anastasia e Joe Adonis. Nel 1951, con l'aiuto di Frank Costello, allora capo della Famiglia Luciano, fa eliminare i fratelli Mangano e diviene il capo della famiglia.
Le ambizioni di Anastasia incominciano a crescere a dismisura.

Durante gli anni '50, Meyer Lansky ha molto successo con i casinò di Cuba e il controllo del gioco d'azzardo dell'isola per conto di tutte le Famiglie; Lansky passa periodicamente grosse somme di denaro, ma Anastasia, sentendosi sempre più potente chiede a Lansky somme sempre maggiori, finché questi si rifiuta.
Per ripicca Anastasia incomincia a stabilire a Cuba altri racket e case da gioco. Così Meyer Lansky ne discute con Santo Trafficante Jr, capo della Famiglia di Tampa, Vito Genovese, rivale e nemico di Frank Costello e Carlo Gambino capodecina dello stesso Anastasia, interessato a succedergli alla guida della Famiglia, dato che questi tre sono i più interessati alla sua morte di Anastasia.

La mattina del 25 Ottobre 1957 Albert Anastasia si reca dal suo barbiere preferito al Park Sheraton Hotel, accompagnato dal suo guardaspalle James Squillante: appena sedutosi sulla poltrona con in testa l'asciugamano caldo entrano due killer che lo uccidono.
Ad organizzare l'omicidio è stato Joe Biondo, assieme a Carlo Gambino che gli succede alla guida della Famiglia, dandogli anche il nome futuro.
Alcuni sospettarono che i killer utilizzati furono i fratelli Gallo, ma cinquant'anni dopo gli storici ritengono che i killer furono Steven Grammauta e Joseph Armone, coordinati dal capodecina e fratello di Joseph Steven Armone.
@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@
GASPARE PISCIOTTA



Gaspare Pisciotta nacque a Montelepre nella Sicilia occidentale nel 1924. Contrariamente a quanto è largamente ritenuto, lui e Salvatore Giuliano non erano cugini ma si conobbero da bambini e diventarono amici da ragazzi.
Mentre Giuliano rimase a Montelepre durante la guerra, Pisciotta si arruolò nell'esercito e fu catturato mentre combatteva contro i tedeschi.
Fu rilasciato nel 1945, malato di tubercolosi, e ritornò in Sicilia dove si unì alla campagna separatista di Giuliano, diventando uno dei membri fondatori della banda.

Arresto
Poco dopo la morte di Salvatore Giuliano, avvenuta il 5 luglio 1950, Pisciotta fu catturato e incarcerato. In carcere fece la sorprendente rivelazione che fu lui ad uccidere Giuliano nel sonno, un'affermazione che contraddiceva la versione delle forze dell'ordine che Giuliano fosse stato ucciso dal capitano dei Carabinieri Antonio Perenze in uno scontro a fuoco a Castelvetrano.
Sosteneva di aver ucciso Salvatore Giuliano dietro istruzioni del Ministro dell'Interno Mario Scelba e di aver raggiunto un accordo con il colonnello Luca, comandante delle forze anti-banditismo in Sicilia, di collaborare, a condizione che non fosse condannato e che Luca sarebbe intervenuto in suo favore qualora fosse stato arrestato.
Ciò nonostante, durante il processo Pisciotta fu reticente nel rivelare i nomi dei responsabili della strage di Portella della Ginestra e non poté documentare le accuse di Giuliano contro il Governo Italiano, ufficiali dei Carabinieri e mafiosi coinvolti nella banda Giuliano.
Egli fu condannato all'ergastolo ed incarcerato all'Ucciardone di Palermo.

La madre di Salvatore Giuliano sospettò Pisciotta come un potenziale traditore del figlio prima che lo stesso fosse assassinato, benché Giuliano le avesse scritto: "...noi ci rispettiamo come fratelli...". Se la testimonianza di Pisciotta fu vera, Giuliano non sospettò nulla fino alla sua morte.

Prigionia e morte

In prigione, Pisciotta capì che la sua vita era in pericolo. Venne scritto che egli disse: “Uno di questi giorni, mi uccideranno” tanto che rifiutò di dividere la cella con qualcuno prima della sentenza del processo.
Secondo alcuni, Gaspare aveva un piccolo passero al quale faceva mangiare il cibo prima di mangiarlo a sua volta, per paura di essere avvelenato e non mangiava il cibo del carcere ma soltanto quello preparato da sua madre e che gli veniva recapitato in cella.
In ogni caso la mattina del 9 febbraio 1954, Gaspare prese un preparato vitaminico che lui stesso sciolse nel caffè.
Quasi immediatamente venne colpito da lancinanti dolori addominali e nonostante fosse portato immediatamente all'infermeria della prigione, morì nel giro di quaranta minuti. La causa del decesso, secondo gli esiti dell'autopsia, fu dovuta all'ingestione di 20 mg di stricnina.

Sia il Governo italiano che la mafia furono indicati come i mandanti dell'uccisione di Pisciotta ma nessuno venne processato per la sua morte.

La madre di Gaspare, Rosalia, scrisse una lettera aperta alla stampa il 18 marzo di quell'anno denunciando il possibile coinvolgimento di politici corrotti e della mafia nell'uccisione del figlio, dicendo: “Si, è vero che mio figlio Gaspare non potrà più parlare e molta gente è convinta di essere al sicuro; ma chi sa, forse qualche altra cosa può venir fuori”.
Gaspare Pisciotta si suppone abbia potuto scrivere una autobiografia in carcere, alla quale la madre probabilmente si riferiva e che il fratello Pietro provò a far pubblicare.
Questo documento andò però smarrito ed il suo contenuto rimase sempre un segreto.