martedì 9 febbraio 2010

pag. 22 ) Calvi, Lo IOR, Marcinkos, Emanuela Orlandi

Roberto Calvi (Milano, 13 aprile 1920 – Londra, 17 giugno 1982)
è stato un banchiere e finanziere italiano.
La sua carriera cominciò nel 1947, quando entrò nel Banco Ambrosiano,
banca privata strettamente legata all'Istituto per le Opere di
Religione (IOR), in qualità di semplice impiegato, salvo riuscire,
nell'arco di una trentina d'anni, a raggiungere prima la carica
di direttore generale nel 1971 e poi quella di presidente nel 1975,
carica quest'ultima tramite la quale riuscì ad avviare una serie
di speculazioni finanziarie per lanciare il Banco Ambrosiano nella
finanza internazionale. Fondamentali, a questo scopo, le amicizie
con membri della loggia massonica deviata P2 (di cui in seguito
fece parte) e i rapporti con esponenti del mondo degli affari
e della mafia.

Nel 1968 conobbe Michele Sindona divenendone socio in affari; nel
1975 Sindona gli presentò Licio Gelli e Calvi entrò nella loggia P2.

In poco tempo divenne uno dei finanzieri più aggressivi, intrecciando
una fitta rete di società fantasma create in paradisi fiscali con
lo IOR, la banca vaticana: acquistò la Banca del Gottardo, una banca
svizzera; fondò una finanziaria in Lussemburgo, la Banco Ambrosiano
Holding; con l'arcivescovo Paul Marcinkus fondò la Cisalpine Overseas,
nelle Bahamas; insieme al tecnico informatico Gerard Soisson
(che morì a 40 anni in un Club Méditerranée in Corsica), Calvi ideò
un meccanismo di compensazione dei conti fra istituzioni bancarie.

Gli obblighi internazionali di riserva frazionaria vennero in questo
modo applicati solo al saldo dei crediti tra due banche, a quella
delle due che ha il saldo positivo (saldo creditore).

Su richiesta del Vaticano, finanziò «Paesi e associazioni politico
-religiose» soprattutto nell'Europa orientale (ad esempio Solidarność)
e in America Latina (come i Contras) «allo scopo di contrastare la
penetrazione e l'espandersi di ideologie filomarxiste».
In seguito all'inchiesta per il suo omicidio, divenne noto col
soprannome di Banchiere di Dio, tanto da ispirare un libro
ed un film omonimi.

Le crisi del Banco Ambrosiano
La prima crisi del Banco risale al 1977. All'alba del 13 novembre
Milano si svegliò tappezzata di cartelloni in cui si denunciavano
presunte irregolarità del Banco Ambrosiano.
Artefice del gesto era stato Michele Sindona, che voleva vendicarsi
di Calvi, cui aveva chiesto senza successo i soldi per "tappare
i buchi" delle sue banche.

Per alcuni mesi, a partire dal 17 aprile 1978, alcuni ispettori
della Banca d'Italia analizzarono la situazione del Banco Ambrosiano
e denunciarono molte irregolarità, segnalate al giudice Emilio
Alessandrini, il quale venne però ucciso il 29 gennaio 1979 da
un commando di terroristi di estrema sinistra appartenenti a
Prima Linea. Il 24 marzo il governatore della Banca d'Italia
Paolo Baffi e il capo dell'Ufficio Vigilanza Mario Sarcinelli,
artefici dell'ispezione, vennero accusati dai magistrati Luciano
Infelisi e Antonio Alibrandi di alcune irregolarità e posti agli
arresti (domiciliari per Baffi), salvo essere completamente prosciolti
nel 1983, in seguito all'accertamento dell'assoluta infondatezza
delle accuse mosse a loro carico.

In seguito il Banco si trovò ad affrontare una prima crisi di liquidità,
che risolse ricevendo finanziamenti dalla BNL e dall'ENI per circa
150 milioni di Dollari, mentre una seconda crisi di liquidità nel 1980
fu risolta grazie a un nuovo finanziamento dell'ENI di 50 milioni
di Dollari, per ottenere i quali Calvi, come risulta dagli atti
processuali, pagò tangenti a Claudio Martelli e Bettino Craxi.

Il "castello di carte" dell'Ambrosiano crollò nel 1981 con la
scoperta della loggia P2 che lo proteggeva: Calvi, rimasto senza
protezioni ad affrontare lo scandalo, cercò l'intervento del
Vaticano e dello IOR, ma poco meno di due mesi dopo, il 21 maggio,
venne arrestato per reati valutari, processato e condannato.

Tentativo di salvataggio [modifica]
In attesa del processo di appello, Calvi fu messo in libertà
provvisoria, tornando a presiedere il Banco. Nel tentativo di
trovare fondi per il salvataggio dei conti, strinse rapporti
con Flavio Carboni, un finanziere sardo legato ad ambienti
politici e malavitosi romani come la Banda della Magliana,
legami che forse portarono al tentato omicidio di Roberto Rosone.

Rosone, direttore generale del Banco, fu vittima di un attentato
da parte di Danilo Abbruciati, un boss della banda della Magliana,
a causa delle perplessità espresse circa alcuni finanziamenti
concessi dal Banco a Carboni senza la presenza delle dovute garanzie.
Lo stesso Carboni, durante il processo, ha dichiarato

« Non capisco che interesse potevo avere a fare del male a Calvi.
Al contrario, potevo avere l'interesse opposto, visto che mi
aspettavo da lui un premio piuttosto consistente »
(Corriere della Sera)

La situazione comunque precipitò e Calvi e Carboni cercarono ancora
l'intervento dello IOR, che rifiutò di fornire aiuto di fronte ai
numerosi fatti criminosi che via via emergevano.

Il giallo della morte
Il Blackfriars Bridge a Londra, sotto al quale Roberto Calvi fu
ritrovato impiccato.Il 9 giugno 1982 Calvi si allontanò da Milano,
giungendo a Roma in aereo, dove incontrò Flavio Carboni, col quale
organizzerà la fuga verso l'estero.

L'11 giugno il banchiere si diresse a Venezia, per poi raggiungere
Trieste, e successivamente la Jugoslavia. Dal paese slavo proseguirà
poi per Klagenfurt.

Il 14 giugno Calvi incontrò Carboni al confine con la Svizzera,
per poi partire il 15 giugno verso Londra, dall'aeroporto di Innsbruck.

Il 16 giugno Carboni partì da Amsterdam per raggiungere Calvi a Londra.


Il 18 giugno venne trovato impiccato da un impiegato postale, sotto il
Ponte dei Frati Neri sul Tamigi (51°30′34″N 0°06′16″W / 51.50944, -0.10444)
in circostanze molto sospette, con dei mattoni nelle tasche e 15.000
dollari addosso. Fu trovato anche un passaporto con le generalità
modificate in "Gian Roberto Calvini". Nelle sue tasche venne ritrovato
anche un foglio con alcuni nominativi: quello dell'industriale Filippo
Fratalocchi (noto produttore di armamenti e presidente di Elettronica
s.p.a.), del politico democristiano Mario Ferrari Aggradi, del piduista
Giovanni Fabbri, di Cecilia Fanfani, dell'amico di Sindona ed ex
consigliere del Banco di Roma Fortunato Federici, del piduista e
dirigente BNL Alberto Ferrari, del piduista e dirigente del settore
valute del Ministero del Commercio Estero Ruggero Firrao e del
Ministro delle Finanze del PSI Rino Formica.

La magistratura inglese liquidò la morte di Calvi come suicidio, come
affermato da una perizia medico-legale. Sei mesi dopo, la Corte Suprema
del Regno Unito annullò la sentenza per vizi formali e sostanziali ed
il giudice che l'aveva emessa venne incriminato per irregolarità; il
secondo processo britannico lasciò aperta sia la porta del suicidio,
sia quella dell'omicidio.

Nel 1988 iniziò in Italia una causa civile che stabilì che Roberto
Calvi era stato ucciso e impose a un'assicurazione il risarcimento
di 3 milioni di dollari alla famiglia.

Un nuovo procedimento legale sulla morte di Calvi è stato aperto in
Inghilterra nel settembre 2003.

Il processo in Italia
Una prima indagine della procura di Milano archiviò il fatto come
suicidio.
Nel momento in cui, nel 1992, la procura di Roma venne in possesso
di nuovi elementi per riaprire il caso come omicidio volontario e
premeditato, la Cassazione decise il passaggio della competenza da
Milano a Roma.

L'indagine proseguì con l'ordinanza di custodia cautelare emessa
nel 1997 dal gip Mario Alberighi a carico di Pippo Calò e Flavio
Carboni, accusati di essere i mandanti dell'omicidio.
Secondo l'accusa, Calvi sarebbe stato ucciso perché impossessatosi
del denaro di Calò e di Licio Gelli, maestro venerabile della P2.

L'anno successivo, una nuova perizia sulla morte di Calvi, ordinata
dal gip Otello Lupacchini, stabilì l'infondatezza dell'ipotesi
del suicidio.

Il processo penale iniziò il 5 ottobre 2005 in una speciale aula
approntata all'interno del carcere di Rebibbia, a Roma. Imputati
furono il boss di Cosa Nostra Pippo Calò e Flavio Carboni, accusati
di omicidio, Ernesto Diotallevi, esponente della Banda della Magliana,
Silvano Vittor (contrabbandiere di jeans e caffè) e la compagna
di Carboni, Manuela Kleinszig.

L'accusa fece leva sulle circostanze della morte di Calvi per dimostrare
la colpevolezza degli imputati (tra cui una telefonata effettuata dalla
camera dove alloggiava il banchiere, i tempi morti nella ricostruzione,
etc), sulle difficoltà di accesso per un uomo di 60 anni al luogo in
cui era stata legata la corda, e su una serie di perizie sul livello
del Tamigi. Dall'altro lato, la difesa puntò sulla sostanziale assenza
di prove contro gli imputati e sull'assenza di un movente forte per
scagionare Carboni e Calò.

La frase "Il Banco Ambrosiano non è mio, io sono soltanto il servitore
di qualcuno." pronunciata da Roberto Calvi durante il processo per
reati valutari ha lasciato molti dubbi sugli eventi.
Delle recenti affermazioni della famiglia di Calvi vorrebbero legare
quella frase ad alcuni esponenti del Vaticano e la scomparsa di
Emanuela Orlandi (la ragazza scomparsa a Roma nel 1983 e tuttora
al centro di un giallo internazionale) a queste vicende.

Nel marzo 2007 il pm Luca Tescaroli, al termine della sua arringa
conclusiva, aveva chiesto l'ergastolo per Pippo Calò, già considerato
il "cassiere" della mafia, per il "faccendiere" Flavio Carboni,
per Ernesto Diotallevi, ritenuto uno dei boss della Banda della
Magliana, e per Silvano Vittor, accusato di aver accompagnato Calvi
a Londra, di avergli fornito il passaporto falso e di essere stato
uno degli esecutori materiali del delitto. Assoluzione piena era
stata invece richiesta per la ex fidanzata di Carboni, Manuela Kleinszig.

Ad avviso del pm, tre motivi principali sarebbero stati alla base
del delitto: gli organizzatori dell'omicidio ritenevano che il banchiere
avesse male amministrato il denaro di Cosa Nostra, sospettavano
potesse rivelare i segreti del sistema di riciclaggio messo in piedi
attraverso il Banco Ambrosiano e ritenevano, compiuto il delitto,
di poter avere maggiore peso negoziale nei confronti di coloro che
erano coinvolti con Calvi.

Il capo d'imputazione recitava:

« Gli imputati, avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso
denominate Cosa nostra e camorra, cagionavano la morte di Roberto
Calvi al fine di: punirlo per essersi impadronito di notevoli
quantitativi di denaro appartenenti alle predette organizzazioni;
conseguire l'impunità, ottenere e conservare il profitto dei crimini
commessi all'impiego e alla sostituzione di denaro di provenienza
delittuosa; impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio
nei confronti dei referenti politico-istituzionali della massoneria,
della Loggia P2 e dello Ior, con i quali avevano gestito investimenti
e finanziamenti di cospicue somme di denaro »


Il 6 giugno 2007 la seconda Corte d'assise di Roma, presieduta da
Mario Lucio d'Andria, ha emesso una sentenza di totale assoluzione
per tutti gli imputati per il processo Calvi. Flavio Carboni, Pippo
Calò, Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor sono assolti ai sensi
dell'articolo 530 c.p.p., 2º comma, ossia per insufficienza di prove.
Assolta con formula piena invece Manuela Kleinszig, come chiesto
dallo stesso pm.

Resta aperto invece il secondo filone dell'inchiesta romana, a proposito
dei mandati dell'omicidio, tra i cui indagati figura anche Licio Gelli.

La ricostruzione di Pinotti
Il giornalista Ferruccio Pinotti nel libro Poteri forti (BUR, 2005)
ha indagato sulla morte di Calvi, dopo avere ripetutamente ascoltato
il figlio di Calvi, che per anni ha ricostruito le vicende legate
alla carriera e alla misteriosa morte del padre.

Pinotti descrive le operazioni finanziarie con le quali Calvi riuscì
a rendere il Banco Ambrosiano padrone di sé stesso, così da poterlo
gestire in piena autonomia. Operazioni tuttavia che rendono Calvi
ricattabile e lo costringono a erogare cospicui finanziamenti a
società dipendenti dallo IOR guidato dal vescovo Paul Marcinkus.

Quando si manifestano difficoltà finanziarie, l'Ambrosiano cerca,
senza riuscirvi, di recuperare il denaro prestato all'Istituto vaticano,
che presumibilmente usa il denaro ricevuto per aiutare in tutto il
mondo e in particolare in Polonia gruppi religiosi e politici vicini
alla Santa Sede.

Calvi allora proverebbe a rivolgersi ad ambienti religiosi vicini
all'Opus Dei, che sarebbero stati disponibili a coprire i debiti
dello IOR per ottenere maggior peso in Vaticano. Tentativo senza
successo, perché ostacolato da quanti, in Vaticano, temono che il
potere dell'Opus Dei possa crescere e per impedirlo sono disposti
a lasciare fallire il Banco Ambrosiano.

In una lettera del 5 giugno 1982 rilasciata dal figlio diversi anni
dopo e pubblicata nel libro di Pinotti, Calvi scrive anche a papa
Giovanni Paolo II cercando aiuto:

« Santità sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori
nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti
dello IOR, comprese le malefatte di Sindona...; sono stato io che,
su preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto
cospicui finanziamenti in favore di molti Paesi e associazioni
politico-religiose dell'Est e dell'Ovest...; sono stato io in tutto
il Centro-Sudamerica che ho coordinato la creazione di numerose
entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione
e l'espandersi di ideologie filomarxiste; e sono io infine che oggi
vengo tradito e abbandonato... »


I segreti e gli interessi economici legati alla mancata restituzione
da parte dello IOR del denaro ricevuto dal Banco Ambrosiano e connessi
alle operazioni finanziarie che lo IOR realizzava per conto di propri
clienti italiani desiderosi di esportare valuta aggirando le norme
bancarie sarebbero quindi all'origine della decisione di uccidere
Roberto Calvi, che, disperato e temendo di finire in carcere, avrebbe
potuto rivelare quanto sapeva ai magistrati.

Critiche alla ricostruzione Questa ricostruzione è stata criticata,
in particolare da parte dell'Opus Dei che ha sempre dichiarato di
non aver intrattenuto rapporti con Roberto Calvi e il Banco Ambrosiano.

Il 19 novembre 1982 l'allora responsabile dell'Opus Dei per l'Italia
don Mario Lantini scrisse a Clara e Carlo Calvi una lettera dove,
riferendosi alle interviste da loro rilasciate al Wall Street Journal,
a La Stampa e a L'espresso riguardo «rapporti che il defunto Roberto
Calvi avrebbe intrattenuto con l'Opus Dei», dichiarò che «nessuna
persona per conto dell'Opus Dei ha mai intrattenuto alcun rapporto o
trattativa, né direttamente né indirettamente, né con Roberto Calvi
né con lo IOR». Esprimeva inoltre «la necessità di conoscere a quali
elementi Loro fanno riferimento nel parlare dell'Opus Dei» e di
«fornire indicazioni su persone, fatti, circostanze e precisare
ogni altro dato utile al chiarimento dei fatti».