martedì 9 febbraio 2010

pag. 21 ) La banda della magliana

Banda della Magliana è il nome attribuito dal giornalismo italiano a quella che è considerata la più potente organizzazione criminale che abbia mai operato a Roma. Il nome deriva da quello del quartiere Magliana nel quale risiedevano molti dei componenti. A questo gruppo criminale vennero attribuiti legami con diversi tipi di organizzazioni quali Cosa Nostra, Camorra, 'Ndrangheta, ma anche con esponenti del mondo della politica come Licio Gelli e la Loggia P2, nonché con esponenti dell'estrema destra di stampo eversivo, con i servizi segreti e anche con settori della finanza vaticana (IOR) in special modo nella persona di Monsignor Marcinkus.

Questi legami, sotterranei rispetto alle normali attività criminose della banda (traffico di droga, sequestri e scommesse ippiche) e spesso non chiariti, hanno fatto balzare il gruppo alle cronache storiche degli anni di piombo, legandone le sorti a questi casi della cronaca nera italiana.

SE VOLETE SAPERNE DI PIU'CLICCATE QUI:

http://www.ilcassetto.it/notizia.php?tid=156



Omicidio di Carmine Pecorelli

Attentato a Roberto Rosone

Caso Roberto Calvi

Ritrovamento dell'arsenale custodito nei sotterranei del
Ministero della Sanità ..........

Depistaggi nell'inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna

Inoltre, i rapporti (ancora non chiariti) di alcuni componenti
con la scomparsa di Emanuela Orlandi, appendice misteriosa
dell'attentato a Papa Giovanni Paolo II, furono solo alcuni
dei fatti per cui la Banda della Magliana in un modo o
nell'altro è passata al vaglio degli investigatori.
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Storia


Nel 1976 Franco Giuseppucci (detto prima er Fornaretto e in seguito er Negro) - uno dei futuri componenti della banda - è un piccolo criminale del quartiere di Trastevere: nasconde e trasporta armi per conto di altri criminali. Un giorno, con l'auto carica di armi, si ferma davanti ad un bar per prendere un caffè; fatalità vuole che quell'auto gli venga casualmente rubata. Le armi contenute nel bagagliaio della Volkswagen sono di un suo amico, Enrico De Pedis detto Renatino, un rapinatore che gode di buon rispetto all'interno della malavita romana.

Giuseppucci trova il ladro che gli ha sottratto l'auto, ma le armi sono state vendute ad un gruppo di rapinatori appena formatosi nel nuovo quartiere romano della Magliana. Giuseppucci decide allora di andare a parlare con quelli di via della Magliana, in particolare cerca e trova Maurizio Abbatino detto Crispino, un giovane rapinatore dal sangue freddo che aveva acquistato le armi. I due, stranamente, si accordano per compiere alcuni colpi; nel gruppo rientrano anche De Pedis e gli altri della Magliana.

Da semplice associazione di rapinatori, il patto prende la forma di una potenziale organizzazione per il controllo della criminalità romana, nella quale iniziano a lavorare anche criminali di altre zone: Marcello Colafigli (detto "Marcellone"), Edoardo Toscano detto l'Operaietto e Claudio Sicilia detto er Vesuviano per le sue origini.

Il loro primo lavoro, lunedì 7 ottobre 1977, sarà un sequestro: quello del duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere, che però finirà male. Per l'inesperienza nel campo, Giuseppucci e gli altri non riescono a gestire la situazione e devono chiedere aiuto ad un altro gruppo criminale (una piccola banda di Montespaccato), un componente del quale, per distrazione, si fa vedere in faccia dal duca, che per questo verrà ucciso.

Riescono, comunque, ad incassare il riscatto (due miliardi, contro i 10 della richiesta iniziale[1]), lo dividono con l'altro gruppo ed invece di suddividere tra loro la loro quota, decidono di reinvestirla in nuove attività criminali.

Da qui, l'unione con altri gruppi romani: uno del quartiere Tufello con a capo Gianfranco Urbani (er Pantera), uno di Ostia con a capo Nicolino Selis che ha forti legami con la Camorra e i Testaccini, un violento gruppo di Testaccio comandato da Danilo Abbruciati, er Camaleonte.

Nasce così la Banda della Magliana.
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La conquista del potere
« "Roma è nelle nostre mani", si dicevano l'un l'altro i nuovi boss, spavaldi e col sorriso sulle labbra, interessati solo ad allargare il controllo sulla città e a entrare in nuovi affari, incuranti di chi ci fosse dietro. La droga poteva arrivare e andare indifferentemente a uomini della mafia, della camorra, della 'ndrangheta, dell'eversione nera, di organizzazioni mediorientali. Agli ex rapinatori cresciuti nelle batterie di quartiere, passati al giro più grosso delle bische e delle scommesse clandestine e diventati in pochi anni impresari di morte attraverso il traffico di droga, non interessava servire ed essere serviti da questa o quella banda »

(da Ragazzi di malavita di Giovanni Bianconi)

Il motivo per cui un gruppo riuscì a raggiungere per la prima volta il controllo di una metropoli come Roma è da cercarsi nei metodi che la Banda della Magliana introdusse nel panorama capitolino. Primo fra tutti, gli omicidi. Dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni settanta la criminalità romana era divisa in quartieri: ognuno controllava la propria zona dove mantenere il potere era semplice. Non che non si commettessero omicidi, ma le pistole si usavano molto raramente e nessuno di essi veniva premeditato per il mantenimento o la conquista del potere. Quelli della Magliana, invece, vollero allargare il controllo a tutta la città e per farlo usarono sistematicamente le pistole, eliminando gli oppositori alla loro espansione e contemporaneamente incutendo timore a chi avesse voluto intromettersi nella crescita della banda.


«Eravamo i più potenti, perché eravamo gli unici che sparavano», avrebbe detto anni dopo in un'aula di tribunale uno di loro.

Il primo e più celebre degli omicidi ad opera del gruppo, fu quello di Franco Nicolini detto Er criminale, che controllava il mondo orbitante attorno alle scommesse ippiche. Gli affari della Banda della Magliana, dalle semplici rapine, passarono in poco tempo ai sequestri, alle scommesse ippiche appunto, ai colpi ai caveau e soprattutto al traffico di droga, affare per cui era necessario avere un controllo capillare del territorio.

La banda estendeva la sua influenza nelle zone di Trastevere-Testaccio, della Magliana, di Acilia-Ostia, del Tufello e dell'Alberone. Nella zona di Trastevere-Testaccio si muovevano gli uomini di Danilo Abbruciati, implicato soprattutto nel riciclaggio del danaro sporco, grazie ai suoi rapporti con Flavio Carboni, Roberto Calvi e Francesco Pazienza. Con gli stessi operava Domenico Balducci, legato a sua volta al noto mafioso Pippo Calò. La zona della Magliana era sotto il controllo degli uomini di Giuseppucci, in cui militavano personaggi quali Marcello Colafigli, Maurizio Abbatino, Antonio Mancini detto Accattone, Claudio Sicilia, ecc. La zona di Acilia-Ostia, era in mano al gruppo di Nicolino Selis, che si avvaleva di uomini come i fratelli Carnovale, Ottorino Addis, Libero Mancone e Gianni Girlando. Nelle zone del Tufello e dell'Alberone spiccava la figura di Gianfranco Urbani, anche se il gruppo criminale presentava una minor omogeneità rispetto ai precedenti. Urbani favorì i rapporti con il clan di Nitto Santapaola e con la 'Ndrangheta calabrese, grazie alla cosca De Stefano, operante a Reggio Calabria, capeggiata all'epoca dal defunto boss Paolo De Stefano.
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Organizzazione

La Banda della Magliana, a differenza di altri nuclei criminali organizzati, come la Camorra o Cosa Nostra, non presentava un'organizzazione piramidale: non aveva infatti un solo capo, ma diversi, divisi in gruppi, che spesso lavoravano anche singolarmente e senza la necessità che gli altri lo sapessero. Questa gerarchia non piramidale ha avuto come effetto collaterale quello di consentire di volta in volta ad entità esterne di fare uso della Banda per i propri scopi, come alcuni ritengono possano aver fatto branche deviate dei servizi segreti[2][3].

I proventi dei crimini erano comunque divisi sempre in parti uguali, ogni membro riceveva la cosiddetta "stecca", una sorta di dividendo indipendente dal lavoro svolto in quel periodo che anche i membri detenuti continuavano comunque a ricevere attraverso la famiglia. I vari componenti erano tenuti in ogni caso a continuare a partecipare all'attività criminale: anche quando alcuni di loro divennero veramente ricchi, girando su Ferrari con Rolex al polso, continuarono ad essere degli operai del crimine.

Inutile dire che appartenere alla Banda della Magliana

significava anche non poter sgarrare:

un errore avrebbe potuto facilmente costare la vita.